internazionale
28.10.2016
In
Turchia torna la tortura
Die
Tageszeitung, Germania
L’allarme
lanciato da Human rights watch conferma quanto già si temeva alla
luce di singoli episodi e notizie: in Turchia è tornata la tortura.
Fino all’inizio degli anni duemila l’uso della sofferenza fisica
e psicologica era all’ordine del giorno nel trattamento dei
prigionieri curdi. L’eliminazione della tortura durante le
interrogazioni della polizia è una recente conquista del Partito per
la giustizia e lo sviluppo (Akp) e dell’attuale governo del
presidente Recep Tayyip Erdogan. Ma già dalla metà del 2015, quando
il processo di pace con il Partito curdo dei lavoratori (Pkk) si è
interrotto, la situazione per i curdi è cambiata. E dopo il
tentativo di colpo di stato del 15 luglio, torturare i prigionieri
arrestati nel quadro della guerra al terrorismo è di nuovo la norma.
Botte, privazione del sonno, molestie sessuali sono tutti mezzi usati
sistematicamente. Il governo respinge le accuse e parla di singole
violazioni. Cerca di dipingere lo stato d’emergenza come la misura
normalmente attuata in Europa per contrastare il terrorismo, in
particolare in Francia. Il ministro degli esteri francese Jean- Marc
Ayrault, prima della sua visita ad Ankara il 24 ottobre, ha
protestato debolmente. Ma non basta. L’Unione europea e i singoli
paesi devono reagire alla tortura con la stessa determinazione
dimostrata nel dibattito sulla reintroduzione della pena di morte.
Questo non vuol dire che bisogna interrompere il dialogo con il
governo turco, come in Germania sembrano auspicare la destra e una
parte della sinistra, ovvero i cristiano-sociali bavaresi della Csu e
il partito di sinistra Die Linke. I primi non vogliono mai più
prendere in considerazione la possibilità che la Turchia aderisca
all’Unione europea, i secondi si limitano a indignarsi. Ma
l’indignazione non serve a nulla, se non si possono fare pressioni.
E per poter fare pressioni bisogna tenere aperto il dialogo, e avere
qualcosa da offrire in cambio.