martedì 1 novembre 2016


internazionale 28.10.2016
In Turchia torna la tortura
Die Tageszeitung, Germania

L’allarme lanciato da Human rights watch conferma quanto già si temeva alla luce di singoli episodi e notizie: in Turchia è tornata la tortura. Fino all’inizio degli anni duemila l’uso della sofferenza fisica e psicologica era all’ordine del giorno nel trattamento dei prigionieri curdi. L’eliminazione della tortura durante le interrogazioni della polizia è una recente conquista del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) e dell’attuale governo del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ma già dalla metà del 2015, quando il processo di pace con il Partito curdo dei lavoratori (Pkk) si è interrotto, la situazione per i curdi è cambiata. E dopo il tentativo di colpo di stato del 15 luglio, torturare i prigionieri arrestati nel quadro della guerra al terrorismo è di nuovo la norma. Botte, privazione del sonno, molestie sessuali sono tutti mezzi usati sistematicamente. Il governo respinge le accuse e parla di singole violazioni. Cerca di dipingere lo stato d’emergenza come la misura normalmente attuata in Europa per contrastare il terrorismo, in particolare in Francia. Il ministro degli esteri francese Jean- Marc Ayrault, prima della sua visita ad Ankara il 24 ottobre, ha protestato debolmente. Ma non basta. L’Unione europea e i singoli paesi devono reagire alla tortura con la stessa determinazione dimostrata nel dibattito sulla reintroduzione della pena di morte. Questo non vuol dire che bisogna interrompere il dialogo con il governo turco, come in Germania sembrano auspicare la destra e una parte della sinistra, ovvero i cristiano-sociali bavaresi della Csu e il partito di sinistra Die Linke. I primi non vogliono mai più prendere in considerazione la possibilità che la Turchia aderisca all’Unione europea, i secondi si limitano a indignarsi. Ma l’indignazione non serve a nulla, se non si possono fare pressioni. E per poter fare pressioni bisogna tenere aperto il dialogo, e avere qualcosa da offrire in cambio.