La Stampa 19.10.16
L’Inps: crollano le assunzioni
E volano i licenziamenti, +28%
Scatta
l’allarme lavoro. Secondo i dati dell’Inps, crollano le assunzioni a
tempo indeterminato, mentre l’abolizione dell’articolo 18 contenuta nel
Jobs Act ha fatto impennare il numero dei licenziamenti
di Roberto Giovannini
Assunzioni giù, balzo dei licenziamenti
La
fine degli incentivi fa tirare il freno alle imprese: tra gennaio e
agosto contratti in calo dell’8,5% Dopo l’abolizione dell’articolo 18
sale il numero di rapporti lavorativi cessati per giusta causa: +28%
Nel
2016 si è ridotto il numero dei contratti di lavoro stabili avviati
dalle aziende. Peggio: tra gennaio e agosto il mercato del lavoro ha
offerto meno contratti stabili rispetto a quanto avveniva nel 2014.
Così, il depotenziamento del superbonus per le assunzioni ha indotto le
imprese a tirare i freni. Ma quel che preoccupa è che nell’anno in corso
le aziende hanno finora firmato quasi lo stesso numero di assunzioni
del 2014 (4.020.218 allora, 4.036.709 oggi). Un 2014 in cui non c’erano
incentivi, e soprattutto non c’era il Jobs Act. Una riforma che, come
rivela l’Osservatorio Inps sulla precarietà, con l’abolizione
dell’articolo 18 ha fatto impennare il numero dei licenziamenti
disciplinari.
Toccherà agli economisti chiarire gli eventi. Certo è
che a guardare i numeri diffusi ieri dall’Inps, sembra che la riforma
del lavoro Renzi-Poletti non abbia dato i risultati attesi. Non appena è
venuta meno in modo significativo la convenienza ad assumere, il numero
di assunzioni e trasformazioni è tornato ai livelli di due anni fa. E
invece, come si temeva, le imprese cominciano gradualmente a usufruire
della maggiore libertà garantita dal Jobs Act nell’eliminare il
personale. Cominciando dai licenziamenti «per giusta causa», aumentati
del 28,3% in un anno.
I dati Inps non fotografano l’occupazione,
ma solo il numero effettivo dei contratti di lavoro nel settore privato.
Le assunzioni nel periodo gennaio-agosto 2016 sono risultate dunque
3.782.000, con una riduzione di 351.000 unità rispetto al corrispondente
periodo del 2015 (-8,5%). La frenata più netta è quella che riguarda i
contratti a tempo indeterminato: 395.000 in meno, con un calo del 32,9%
rispetto ai primi otto mesi del 2015, ma in discesa persino rispetto al
2014. Ovviamente, dice la nota Inps, ha pesato il boom del 2015, quando
chi assumeva aveva per tre anni uno sconto di 8060 euro dei contributi
previdenziali. Per la precisione, nel 2015 il 60,8% delle assunzioni e
trasformazioni a tempo indeterminato godettero dell’agevolazione; oggi
lo sconto è minore e biennale, e ne risultano agevolate solo il 32,8%.
In calo drastico, dunque, anche le trasformazioni a tempo indeterminato
di contratti a termine (-35,4% in un anno). Più o meno stabili i valori
per contratti a tempo determinato, in apprendistato e stagionali. «Il
jobs act è una buona legge perché a fronte del meno 32% di oggi -
commenta il ministro Giuliano Poletti - bisogna considerare che l’anno
scorso è stato registrato un +100%, quindi quel meno 32% parte da più
100% ed è quindi una discesa fisiologica».
Intanto però aumentano i
licenziamenti. Se anche senza articolo 18 restano prossimi ai valori
del 2014 i licenziamenti «economici» dei lavoratori a tempo
indeterminato, i licenziamenti «per giusta causa o giustificato motivo
soggettivo» (sostanzialmente quelli per ragioni disciplinari o
assimilabili, resi più facili dal Jobs Act) nei primi 8 mesi del 2016
sono passati da 36.048 a 46.255, con un balzo di 11.020 unità in più,
che corrisponde a un aumento su base annua del 28,3%. Infine, i voucher:
nel periodo gennaio-agosto 2016 ne sono stati venduti 96,6 milioni
(+35,9% sul 2015).
A oggi la differenza tra assunzioni e
cessazioni (tutto compreso) negli ultimi dodici mesi è positiva
(+514.000 unità). Anche per questo Matteo Renzi dagli Usa rivendica la
bontà della sua riforma. Critici i sindacati: per Carmelo Barbagallo
(Uil) il Jobs Act ha fatto «riciclaggio dei posti», mentre la Cgil
Susanna Camusso afferma che «l’assenza di diritti, ammortizzatori e
investimenti ha determinato un picco di licenziamenti».