Il Sole 5.10.16
Legge sul voto, i margini di modifica
di Paolo Pombeni
Il
cosiddetto combinato disposto fra riforma costituzionale e nuova legge
elettorale continua a pesare sul dibattito pubblico. Renzi sollecitato a
tenere conto delle debolezze di un impianto dell’Italicum un po' troppo
“geometrico” e dunque poco aderente al contesto politico (e
probabilmente anche a quello costituzionale) si proclama disponibile a
metterci mano, ma poi si rende conto che non può farlo direttamente per
due ragioni: la prima è che con qualsiasi proposta finirebbe impallinato
dalle opposizioni (non esistono sistemi elettorali perfetti e
inattaccabili); la seconda è che gli si imputerebbe di essere il solito
bullo che prima forza la situazione e poi è costretto a fare marcia
indietro.
In realtà i margini per un aggiustamento ragionevole
dell’Italicum ci sarebbero, solo se ci fosse la volontà di capirsi, ma è
esattamente quello che manca. Due aspetti, che sono fortemente
indiziati di cadere sotto il giudizio della Consulta: si tratta dei
capilista bloccati e della possibilità di candidature multiple fino alla
presenza contemporanea in 10 collegi. Sono dinamiche che interessano i
partiti piccoli: il primo perché con candidati che hanno forti clientele
locali si possono sconvolgere gli ordini di lista quando alla fine ad
essere eletti nel collegio possono essere solo uno o due; il secondo
perché è un sistema sia per attirare voti con il richiamo del nome forte
a livello nazionale, sia per aumentare il suo peso politico con una
raccolta di voti notevole. È una normativa che potrebbe facilmente
essere cancellata.
Assai più spinose le questioni legate al
ballottaggio per la conquista di un premio di maggioranza. In sé è
difficile sostenere che sia antidemocratico, quel che si teme è che il
meccanismo della solidarietà dei contrari al più votato al primo turno
faccia impropriamente vincere chi in quella tornata è arrivato secondo.
Per evitare questo si chiede che almeno sia consentita la competizione
fra coalizioni e non fra liste. Sebbene la questione sia per tanti versi
più nominale che sostanziale (non è detto che la lista contenga gli
esponenti di un solo partito), indubbiamente una simile impostazione
favorisce il negoziato del detentore del potere di formare la lista con
singoli candidati da inserire anziché coi partiti in cui essi si
collocavano. Che ciò non sia gradito alle direzioni dei partiti è
comprensibile.
Non si dovrebbero avere difficoltà a consentire che
la competizione avvenisse formalmente fra coalizioni (si può discutere
se da subito o consentendo apparentamenti al secondo turno) a patto che
si evitino le conseguenze di frammentazioni strumentali (facciamoci
tanti partitini poi ci coalizziamo) e di cadute del governo per
sopravvenute rotture nella coalizione (film già visto). Non sarebbe però
difficile contrastare i due fenomeni; basterebbe mettere una soglia di
sbarramento perché un partito possa entrare in una coalizione
apparentandosi al secondo turno e stabilire che la rottura della
coalizione che andrà al governo comporta lo scioglimento della Camera e
nuove elezioni.
Rimane la questione del quorum di partecipazione
elettorale perché al ballottaggio scatti il premio. Una questione di
buon senso può senz’altro portare a riconoscere che una astensione sopra
la metà degli aventi diritto non può essere considerata una forma di
disinteresse colpevole, ma va valutata come una bocciatura della classe
politica che dunque non merita alcun premio. I margini per ragionare ci
sono tutti.