il manifesto 19.10.16
Stefano Rodotà: «La Carta ci ha unito, con Renzi oggi ci divide»
Intervista.
L’allarme del gurista: il premier delegittima gli avversari e
sovrappone la riforma con il suo governo,è il contrario dei Costituenti
del ’47. La Costituzione non è una legge ordinaria, anche il conflitto
su di essa non può seguire la stessa logica di scontro, il rischio è che
la frattura resti oltre il 4 dicembre. Il No riconosce quelli del Sì,
anche se per arroganza sono andati molto oltre Berlusconi
intervista di Daniela Preziosi
«Per
un paese la Costituzione è il riferimento comune, una carta di identità
di principi e valori in cui tutti si riconoscono. È il terreno comune
su cui si può e si deve svolgere il dialogo. Una cosa è la discussione
sulle leggi ordinarie, un’altra, tutt’altra, è la discussione sulle
leggi costituzionali. Ma Renzi non tiene in conto questa fondamentale
differenza». È una forte preoccupazione quella che esprime il giurista
Stefano Rodotà – già parlamentare, accademico, garante della privacy,
teorico dei beni comuni, candidato alla presidenza della Repubblica,
insomma ottant’anni intensi di passione politica a sinistra. In omaggio
alla sensibilità del tema di cui ragiona, «il paese che rischia di
essere lacerato da un governo divisivo», misura le parole con
attenzione. Stava dicendo della Costituzione come terreno comune. «Ecco,
invece oggi la Carta non è più guardata come tale. È come se oggi, nel
pieno conflitto sulla modifica Renzi-Boschi, ciascuna delle parti
finisca per identificarsi con una sua propria Costituzione».
Una
modalità di conflitto, quello di questi mesi, che sembra l’esatto
contrario di ciò che viene comunemente definito ’spirito costituente’?
La
grande preoccupazione dei costituenti, anche negli anni successivi al
1948, è stata quella di non far diventare la Carta un tema di divisione.
Tant’è che quando durante i lavori dell’Assemblea ci fu l’espulsione
dal governo dei comunisti e dei socialisti, il lavoro comune sulla Carta
non si interruppe.
Ma a dicembre ci sarà un referendum per
approvare o bocciare la riforma. I conflitti di questi mesi non sono
fisiologici di una logica binaria, giocata fra sì e no?
Solo in
parte. A differenza di tutta la nostra storia precedente, oggi succede
che il presidente del consiglio tende fortemente a identificarsi con la
’sua’ riforma e a sovrapporre le scelte che riguardano la stretta
attività di governo con la ’sua’ riforma. Ma non può usare sulla
Costituzione la stessa logica che userebbe per una legge ordinaria.
Quest’atteggiamento può avere conseguenze dal 5 dicembre in avanti, e cioè dal giorno dopo l’esito del referendum?
Naturalmente
dipende da chi vince, è banale dirlo. Non demonizzo la lunga campagna
referendaria da maggio a dicembre: la discussione è aperta e continua.
Ma è il tipo di confronto ingaggiato dal governo che preoccupa: non
dovrebbe mai scivolare nella delegittimazione dell’avversario, non deve
perdere di vista appunto il ’terreno comune’, non dovrebbe promuovere
una logica divisiva, che esclude chi non è d’accordo.
Sta dicendo che se vincesse il Sì potrebbe esserci una parte di questo paese che non si riconosce nella ’nuova’ Costituzione?
Sto
dicendo che questo è il problema. Le Costituzioni hanno bisogno di
legittimazione, i cittadini vi si devono riconoscere. Non sto dicendo
ovviamente che tutti debbano condividerne ogni passaggio, ma tutti
debbono sentirsi inclusi in quei principi e in quei valori. E questo
processo non può essere ridotto una pura questione di maggioranza dei
votanti. È un terreno delicato per un presidente del consiglio che ha
deciso di fare in prima persona la battaglia per il Sì. Il rischio è che
il 5 dicembre ciascuna parte dica ’io ho la mia Costituzione’. E la
Carta anziché unire il nostro paese finirà per dividerlo.
Nel
2006, ai tempi del referendum confermativo della riforma di Berlusconi,
il paese non appariva così diviso. Eppure quella riforma poneva il tema
del federalismo spinto voluto dalla Lega. O è un’impressione dovuta al
senno di poi?
No, è vero che all’epoca la lotta politica c’era ma
la divisione non era così profonda. Le condizioni erano tutte diverse,
la ’devolution’ chiesta dalla Lega in effetti appariva molto più
preoccupante di quello che poi si è rivelata. Ma soprattutto Berlusconi e
i suoi fecero una campagna imparagonabile a quella di Renzi per
intensità, tensione e anche presenza pubblica. E poi c’è una differenza
politica di fondo fra il Renzi di oggi e il Berlusconi di ieri. Oggi
Renzi punta sulla vittoria per rafforzare, anzi persino costruire la sua
identità. Legittimo, certo, ma questo lo porta a esasperare tutti i
toni.
Molti contestano allo schieramento del No di essere composto
per lo più di elettori di Grillo e di destra che voteranno contro Renzi
’con la pancia’, con buona pace delle approfondite ma elitarie analisi
dei giuristi e dei costituzionalisti.
Qui c’è un altro punto della
delegittimazione dell’avversario. Che significa ’votare con la pancia’?
Renzi sta facendo una battaglia con toni più che arroganti e quindi è
del tutto comprensibile che si diffonda una reazione individuale forte,
diretta, emotiva. Che a qualcuno non appare mediata da sufficiente
riflessione. Liquidare la ’pancia’ come un elemento non all’altezza del
dibattito è una sottolineatura delegittimante. Schematizzo: il tema è se
ti riconosco o no come interlocutore. Ed è la regola della democrazia.
Rovescio
la domanda. Nel fronte del No, che spesso parla di un parlamento in
parte o in tutto delegittimato dalla Corte costituzionale che ha
cancellato la legge con cui è stato eletto e nominato, non c’è proprio
la tendenza speculare, o la tentazione, di non riconoscere Renzi come
interlocutore?
Direi che questo pericolo non c’è, sarebbe una
forzatura. Renzi esagera nei toni, è arrogante, ma resta il presidente
del Consiglio. Certo, il suo stile e il suo linguaggio, oltreché la sua
proposta di modifica costituzionale, sta cambiando di fatto il suo ruolo
rispetto ai predecessori. Ma nessuno trascura che è il presidente del
consiglio e che, comunque composta, ha una maggioranza.
L’esito
del referendum cambierà in qualche misura la vita politica italiana. I
comitati del No sono impegnati non solo per la difesa dell’attuale
Costituzione ma per la sua attuazione concreta. Che farete dopo il 5
dicembre, andrete avanti?
È un proposito che abbiamo pronunciato
molte volte, e che ora potrebbe aver cambiato significato. Dipende dalle
volontà, dalle persone che vorranno fare questa battaglia. Ma resta un
fatto: il tema dell’attuazione della Costituzione ormai è stato posto, è
emerso chiaramente, e in molti oggi sono consapevoli. Non potrà essere
eluso.