Repubblica 9.9.16
Dalla fede alla politica il tramonto del padre
La crisi dell’autorità e l’evaporazione di una figura chiave nella riflessione del grande sociologo
di Zygmunt Bauman
Giobbe
ha dovuto tenere a mente una grande verità, imparandola in maniera
dura: «So questo per la verità, che nessun uomo può vincere la sua causa
contro Dio. Se un uomo sceglie di discutere con lui, Dio non risponde a
una domanda su mille» (Gb 9; 2-3). Da qui in avanti si capirà cosa vuol
dire questa verità di Giobbe. Molti anni fa Italo Calvino, proprio sui
giornali, aveva parlato di una specie di centro “strano”, affermando
che: «La società moderna tende verso un complicato set-up, che gravita
verso un centro vuoto, ed è in questo spazio, che si rivela vuoto, che
tutti i poteri e valori si riuniscono». Questo processo potrebbe aver
dato il via, per ricordare ancora Calvino, a una potente teoria di forza
centripeta del vortice di contempo–
raneità, ad un centro
schizzato dai “cadaveri” dei tanti che aspiravano in passato a
stabilirsi in un presunto centro che in realtà si è scoperto poi vuoto.
Mi sono già confrontato sul tema religioso in molte occasioni e tornerò a
farlo ad Assisi nel dialogo con Papa Francesco il 20 settembre
prossimo. Ora però l’aspetto più interessante, in questo scritto, è
quello che riguarda una figura tradizionalmente vincente e, da qualche
tempo, tragicamente perdente: il Dio Padre, il Padre, la Patria. Una
precisazione. Da quanto visto in Polonia, nei luoghi dello sterminio, ma
non solo, questo discorso del “centro vuoto” non tocca neanche in parte
il pontefice attuale, che esercita un ruolo di Padre sui giovani in
cerca di un centro che non trovano. Tralascio al momento quest’aspetto.
Non ho intenzione di affiancare il “cadavere” del Padre o di Dio Padre a
quello di chi sta esercitando un grande ruolo, anche politico, come
Papa Francesco.
Il cadavere che ha attirato l’attenzione di Lacan
era il Padre; per Nietzsche era il Padre di tutti i padri: Dio; per
molti altri, la Patria, un’altra tipologia di padre. Dio, il Padre, la
Patria sono i nomi diversi dati a una totalità più grande della somma
delle sue parti (individuali): basti pensare ad esempi molto importanti
come il Leviatano di Hobbes. Invece la figura del Sovrano di Schmitt ha
dimostrato di avere caratteristiche particolari. In Political Theology,
il filosofo definisce la figura del “sovrano” (altra variante del padre)
non tanto per la sua prerogativa di legiferare, ma per la sua
irresponsabilità, a volte, nella violazione della legge, un motivo
(quasi come un curioso paradosso) giustifica l’atto del fare le leggi e
poi di infrangerle; un atto, pur sempre decisionale, esclusivamente
basato sulla volontà del sovrano, anche se in negativo; in ultima
istanza, il sovrano è colui che non deve rendere ai soggetti del suo
governo né scuse e nemmeno spiegazioni delle sue mosse. È colui che ha
in assoluto la libertà decisionale che tutti noi – i suoi soggetti,
dipendenti dai suoi voleri e dalle sue scelte – dobbiamo tenere in
conto, anche quando si basano sulla violazione della legge.
Paradossalmente, però, il “timore e tremore” generato, come direbbe
Kierkegaard, dal confronto con una tale potenza assoluta, prepotente e
insopportabile, imperscrutabile e incalcolabile, sembra essere un
artificio culturale ingegnoso ed efficace, in grado di rendere
sopportabile – anzi, addirittura vivibile – una vita vissuta di fronte
al destino ostinatamente impenetrabile. Invece di esacerbare il
confronto con il potere, attenua il terrore, altrimenti incurabile,
dell’ignoto. Dio, Padre, Re vede ulteriormente e sente più di me. Non
solo egli sa che cosa il futuro ha in serbo, ma lo rende flessibile.
Egli è onnisciente e onnipotente; se lui desiste dal fare quello che ho a
cuore, deve essere perché sa, mentre io, con la mia ragione, non so e
non sarei in grado di capire davvero se sapessi.
Tendo a
individuare il 1755 come l’anno in cui il mandato per lo sgombero di Dio
dal centro dell’universo ha cominciato ad essere redatto – anche se,
piuttosto che parlare di sfratto di Dio, sarebbe meglio parlare di
abbandono del centro, abbandono del dovere o fuga di un inquilino
insolvente. Nel 1755 accadde un triplo disastro. Terremoti, incendi e
inondazioni in rapida successione toccarono Lisbona, a quel tempo
generalmente considerata come uno dei principali centri del potere
europeo, grazie alla sua ricchezza, ma anche per la sua cultura. Lisbona
fu distrutta, ma i colpi della distruzione cadevano a caso; come
Voltaire era pronto ad osservare: «sia l’innocente che il colpevole
subiscono questo male inevitabile». Il verdetto di Voltaire era
cristallino: il soggiorno di Dio al centro dell’universo non era
riuscito a superare la prova della Ragione e della Morale impostate
dagli esseri umani. Ora toccava agli uomini la nuova gestione. Lo
sfratto era avvenuto.
Attraverso i due secoli successivi abbiamo
imparato comunque, e nel modo più duro, che i “manager umani” sono
capaci di fare molto caos, con razionalità e senso morale; così come
abbiamo imparato la resistenza del Grande Ignoto nel fare un passo
indietro, e la fermezza di vincoli che ostacolano i “manager umani”, i
quali comunque sono ben al di sotto nel raggiungere l’onniscienza, per
non parlare dell’onnipotenza. Ad esempio, lo Stato e il mercato, le due
agenzie che la Ragione e la Morale hanno elaborato in consultazione
reciproca, anche se non necessariamente in pieno accordo delle due
agenzie, gestiscono parte dell’universo ma sono fallite e continuano a
fallire, lasciando frustrate le aspettative degli uomini.
Il
padre, non in senso carnale, ma metaforico, appartiene al più piccolo
frattale nella successione gerarchica dei frattali. Egli è in grado, ad
esempio, di costituire insiemi di frattali più distanti per dare vita,
poi, a un tessuto, in biologia, visto che il frattale si usa anche lì.
Quel tipo di padre–frattale arriva più vicino al ruolo di
societas
e communitas. Prove e tribolazioni attuali affliggono la “figura
paterna” e riflettono, in forma sintetica, i processi che interessano le
idealizzazioni, su qualsiasi livello, della struttura frattale-paterna.
Occorre considerare il numero crescente di bambini che crescono in
famiglie con un solo genitore, resta tuttavia il ruolo di un padre
simile a quello di cui parlava Tommaso d’Aquino: “Deus otiosus o
absconditus”, soprattutto attraverso la sua assenza e la non
interferenza. Se entrambi i genitori biologici discutono se rimanere
sotto lo stesso tetto o no, i legami genitori– figli sono sempre più
sciolti, allo stesso tempo è spogliata la struttura dell’autorità. Lo
svuotamento improvviso di un “centro gravitazionale” è stato
spalleggiato dalla rinuncia forzata o volontaria dei genitori, che quasi
si sono dimessi dal loro ruolo. E mi si permetta di aggiungere che gli
scrupoli morali che potrebbero in futuro seguire a tale resa tendono ad
essere affrontati con i beni e i servizi acquistabili sul mercato e più
comunemente con l’uso dei beni che offrono la possibilità di vivere una
condizione di tranquillità morale, che a sua volta apre la porta sempre
più alla commercializzazione degli aspetti più intimi della solidarietà
umana. Con quali esiti?
(Traduzione a cura di Dorella Cianci)
IL TESTO
Zygmunt
Bauman ha già in parte riflettuto sul centro lasciato vuoto dalla
paternità in un libro appena pubblicato a Cambridge con Riccardo Mazzeo
Il sociologo torna ora ad affrontare il tema in questo testo a cura
dell’antichista Dorella Cianci, che ha chiesto a Bauman di indagare sul
senso e sugli effetti di questo vuoto
IL LIBRO
Stranieri
alle porte di Zygmunt Bauman ( Laterza, trad. di M. Cupellaro pagg. 104,
euro 14) Bauman interverrà a Sassuolo venerdì 16 al Festivalfilosofia
La rassegna si tiene a Modena, Carpi e Sassuolo dal 16 al 18 settembre