Repubblica 23.9.16
Le parole in codice in quei messaggi alla madre e all’amico avvocato
di Michela Bompani
«IL
basco lo desideravo molto. Quando ero in Francia lo portavo perché è
molto comodo, specie d’inverno»: è il 10 ottobre 1935 e Sandro Pertini
scrive dal confino di Ponza a sua madre, Maria Muzio. È dal 1929 che
Pertini sconta la condanna a dieci anni e nove mesi per l’attività
antifascista. Come fine pena, poi, nel 1940, viene giudicato «elemento
pericolosissimo per l’ordine nazionale», riassegnato al confino per
altri 5 anni e trasferito sull’isola di Ventotene. La lettera alla
madre, così come altre al suo avvocato e amico fraterno, Gerolamo
Isetta, “Nino”, fanno parte di un carteggio inedito che contrappunta la
vita dei due amici per oltre cinquant’anni, dal 1919 al 1970. Centoventi
lettere scritte da Pertini fino al 1946 saranno pubblicate a dicembre
in Caro Pertini... Caro Isetta, da Sandra e Flavia Isetta, figlie di
Gerolamo.
Nella lettera dell’ottobre 1935 alla madre, Pertini
esprime gratitudine per gli indumenti ricevuti, oltre al basco, le
calze, i fazzoletti, il pigiama e pare quasi vezzeggiarsi con «l’ottimo
l’impermeabile. Troppo elegante sarà questo vostro Sandro che non è più
abituato a vestirsi di sua iniziativa con la cura e con la ricercatezza
di una volta [ricordi, mamma?]».
«In tante lettere Pertini torna
sull’abbigliamento: per lui si tratta di argomento fondamentale per
ribadire la sua dignità», spiega Sandra Isetta, docente all’Università
di Genova. «Ribadisce che il confino è una forma di lotta, perché la sua
stessa persona perseguitata è la testimonianza attiva delle angherie
del fascismo. E che la dignità passa per l’immagine che si dà a chi ti
sta perseguitando ». In Pertini, il rigore non significa freddezza, ma è
presupposto per una inarrestabile passione politica, che quattordici
anni fra carcere e confino, dal 1929 al 1943, non riescono a sopire. «Ed
io invece sono ancora un povero uomo preso dalla febbre della lotta
politica, irretito in tante umane passioni, con il cuore colmo d’amore,
sì, ma anche greve d’odio», scrive Pertini all’amico Isetta, in un’altra
lettera da Ventotene, il 7 marzo 1943, dove è costretto al confino,
insieme ad Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. «Pertini continua a
combattere dal carcere e dal confino», spiega Isetta, «e molte di queste
lettere, ho scoperto, contengono una sorta di codice cifrato». Pertini
utilizzava la corrispondenza familiare per far arrivare (o ricevere)
messaggi e informazioni precise. «Se le lettere dirette a nostro padre,
pure sorvegliato dal fascismo, erano lette, quelle alla madre erano meno
controllate. È lì che abbiamo trovato gli indizi. In una, si parla di
un dentifricio, Odol, in altre si citano medicine stranissime». La
studiosa ha individuato una sorta di triangolazione tra Pertini, la
madre e l’avvocato Isetta in cui le informazioni rimbalzavano: «La fama
all’estero di Pertini cresce in questi anni grazie alle sue parole
provenienti dalla prigionia».