mercoledì 21 settembre 2016

Italia Oggi 21.9.16
Con un avanzo commerciale del 9 anziché del 6% è come se avesse un deficit/pil del 10%
Merkel non può fare i suoi comodi
Il Trattato di Maastricht non è un menu alla carta
di Giuseppe Vitaletti 

Il vertice di Bratislava sull'Europa ha aperto prospettive enormi, che Renzi sta cercando di approfondire. Esse vanno ben al di là dell'esito del referendum, e investono il destino futuro della posizione italiana in Europa. Vediamone gli aspetti economici, trascurando l'immigrazione.
Faccio riferimento all'intervista del 18 Settembre sul Corriere della Sera. Renzi in sostanza ha detto: a) per rilanciare gli investimenti occorre ricorrere al deficit pubblico. Lo dimostra l'esperienza spagnola, inglese, francese, e soprattutto quella americana; b) la posizione tedesca è falsamente forte, in quanto è sostenuta dall'enorme avanzo della bilancia commerciale, che eccede gravemente i limiti fissati a Maastricht.
Trattiamo entrambi i punti. Primo punto: debito pubblico È incredibile che tutti continuino a dire male del debito pubblico, quando esso è la vera fonte dello sviluppo. Lo aveva già parzialmente dimostrato Keynes. Ora si tratta di approfondire quella dimostrazione, non di tornare a prima di Keynes. L'unica possibilità di evitare le crisi di domanda è che la moneta sia espressa in termini di merci durevoli: solo così, infatti, l'accumulo di moneta dovuto alla crisi si tradurrebbe in occupazione, e la disoccupazione ridurrebbe. L'Ue, se vuole, può seguire questa rotta: sarebbe una continuazione, del resto, di quanto ha fatto finora con i prodotti agricoli. Il deficit pubblico è solo una via più diretta. Esso deve essere accompagnato dal tendenziale azzeramento, per via fiscale, dei saggi interesse, e dalle conseguenti riforme tributarie. Per questo ci vuole tempo, ed il coinvolgimento del G20. Nel frattempo, lo ribadiamo, l'Unione può dedicarsi all'acquisto di beni durevoli (case nuove, materie prime europee).
È ancora più grave il secondo punto, ovvero l'avanzo commerciale, che veleggia ormai sul 9% del Pil tedesco, quando dovrebbe essere al massimo al 6% (un massimo fissato assai generosamente). Innanzitutto Renzi ne parla esplicitamente per primo, mentre finora se ne parlava nei corridoi: ciò quando la regola è scritta a chiare lettere nel trattato di Maastricht. Inoltre, basta imporre alla Germania il 6%, per vederla precipitare in una crisi economica senza sbocchi. Infatti l'avanzo commerciale strutturale è uguale al deficit pubblico, anzi è peggiore. Ciò significa che è come se i tedeschi avessero un deficit dell'ordine del 10% annuo del loro Pil, superiore cioè al deficit degli Usa e dell'Inghilterra: nessuno ha osato finora parlare di questo.
Le due questioni sono fondamentali per rivedere il trattato di Maastricht, ed è importante che l'Italia le abbia poste per prima. Se insiste, essa smette di essere distruttiva, e pone problemi serissimi di riassetto dell'Unione Europea. Se la Germania continua a delegittimare gli altri paesi quando essa sta peggio, si può lasciare l'Unione Europea sulla base di idee forti, anziché come un fattore di sconfitta.
Per questo la questione è politicamente rilevantissima, ed investe tutte le forze di opposizione: Fi dove va privilegiata la posizione di Romani e Malan, e va emarginato Brunetta; il M5S, dove ottima è l'idea di non attaccare la Raggi; la Lega, con cui bisogna insistere sul fatto che per l'immigrazione l'Italia vuole fare progredire i paesi di provenienza, e non riesce a trovare riscontri in Europa; infine, i Fdi, che già o hanno assunto una posizione defilata.

Renzi ha il sostegno della stampa e dei media, per motivi su cui va steso per il momento il silenzio. Può dunque cercare di dare battaglia, tentando di attrarre a sé anche l'opposizione, in nome del rispetto dei parametri di Maastricht, e del loro rifacimento. Quanto alla posizione di D'Alema, può tenerlo buono, affidandolo a Giachetti: sarà lui a mettere in evidenza il legame delle proposte dalemiane con il vecchio degli Usa, e con il vecchio dell'Europa, ovvero la sua totale condiscendenza rispetto alla posizione tedesca.