Corriere 19.9.16
L’imperatrice femminista
Teodora, invisa allo storico procopio, difese i diritti delle donne bizantine
di Paolo Mieli
Il
26 dicembre del 1884 fu presentato al teatro parigino della Porte St.
Martin il dramma storico di Victorien Sardou Théodora . Le musiche erano
di Jules Massenet e fu un grande successo anche perché la più grande
attrice del tempo, Sarah Bernhardt, seppe fare della moglie
dell’imperatore Giustiniano (salito al trono nell’aprile del 527)
un’eroina della modernità, in anticipo sui tempi di 14 secoli.
L’imperatrice — ritratta nella basilica di San Vitale a Ravenna, fino a
quel momento conosciuta quasi esclusivamente dagli studiosi dell’età
bizantina — era rappresentata a teatro come una femme fatale . Fonte di
ispirazione per Sardou fu la Storia segreta di Procopio di Cesarea che —
secondo Giorgio Ravegnani, autore dello straordinario Teodora che sta
per essere pubblicato per i tipi della Salerno — era un testo viziato
dall’odio sconfinato nutrito dall’autore nei confronti della donna. A
riequilibrare il giudizio su Teodora, si sentì in dovere di intervenire
il più grande bizantinista del tempo, l’allora giovanissimo Charles
Diehl, che scese in campo a difenderla dalla «intollerabile deformazione
letteraria» fattane sul palcoscenico. Teodora fu in seguito un’eroina
all’opera. E anche al cinema, fin dai tempi del muto. Nella musica
leggera si affacciò in una canzone di Francesco Guccini. Così come in un
fumetto di Milo Manara. E persino in una marca di caffè. Oltreché nella
collezione Chanel di Karl Lagerfeld. Soprattutto, però, conquistò un
importante ruolo nei libri. Dalla Teodora di Diehl pubblicata in Italia
da Castelvecchi a Il tardo impero romano 284-602 di Arnold Hugh Martin
Jones (il Saggiatore), da Costantinopoli metropoli dai mille volti di
Peter Schreiner (Salerno) a Il romanzo di Costantinopoli. Guida
letteraria alla Roma d’Oriente di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini
(Einaudi), da L’imperatore Giustiniano. Storia e mito a cura di Gian
Gualberto Archi (Giuffrè) a Teodora. Ascesa di un’imperatrice di Paolo
Cesaretti (Mondadori): tutti gli studiosi che si sono occupati
dell’impero bizantino si sono trovati a dover scegliere tra il percorso
indicato da Sardou (e, prima di lui, da Procopio) e quello segnato da
Diehl. Il libro di Ravegnani si colloca nel solco dell’opera di Diehl.
Intendiamoci,
non che Ravegnani metta in dubbio il carattere spregiudicato della vita
di Teodora prima del suo incontro con Giustiniano. Figlia di un
guardiano di orsi all’ippodromo di Bisanzio, la futura moglie
dell’imperatore si rese famosa come attrice (mestiere che all’epoca si
caratterizzava per una certa libertà di costumi). Quella dell’attrice
legata al mondo dell’ippodromo era di per sé una professione infamante.
Per di più, fa notare Ravegnani, lei fu «attrice e cortigiana nello
stesso tempo, ma di bassa lega, quelle che secondo Procopio, venivano
definite “la truppa”, ossia prostitute che senza remore si davano alle
attività più abiette». Bellissima, conquistò Giustiniano non ancora
imperatore e poi gli fu a fianco sul trono dell’Oriente romano per una
ventina d’anni, vale a dire fino alla morte. Ma, prima di incontrare il
sovrano, aveva fatto un misterioso viaggio in Siria, dove era entrata in
contatto con gli esponenti più illustri del clero monofisita (fautore
della tesi che nel Cristo vi fosse la sola natura divina). Ciò che
modificò non poco il suo modo di stare al mondo. Nel senso che la messa
in risalto dei lati più tenebrosi del suo carattere enfatizzati da
Procopio («era spaventosamente crudele, avida, implacabile nel rancore,
intrigante e disumana») si deve più a un atteggiamento di contrasto al
suo esser diventata monofisita che a una critica al suo passato di
avventuriera. Sarebbe stata perciò descritta da Procopio come una
lussuriosa mangiatrice di uomini al fine di screditarla. E questo in
ragione delle sue scelte filosofiche e religiose. Anche se, sostiene
Ravegnani, «un grande merito va comunque riconosciuto al suo implacabile
nemico: di averla resa nonostante tutto la più conosciuta imperatrice
di Bisanzio».
Ma chi era Procopio? Un avvocato di Cesarea
(Palestina) che proprio nell’anno dell’ascesa al trono di Giustiniano,
il 527, passò al servizio del più importante generale del tempo,
Belisario, duca di Mesopotamia. Per lui Procopio scrisse otto libri di
Storie , che contenevano il racconto ufficiale dei conflitti dell’epoca.
La Storia segreta da lui redatta probabilmente nel 550, invece,
riferisce Ravegnani, «appartiene al genere del libello diffamatorio:
come tale, era destinata a restare inedita e a circolare soltanto in un
ristretto ambiente di simpatizzanti». In effetti la Storia segreta fu
scarsamente nota nel corso dell’intero Medioevo bizantino, tant’è che
per mille anni venne menzionata soltanto un paio di volte: in un lessico
del X secolo e negli scritti di uno storico ecclesiastico del Trecento.
La Storia segreta fu dunque pressoché sconosciuta fino al 1623
(Procopio l’aveva scritta, ricordiamolo, nel 555) quando un
bibliotecario della Vaticana, Nicolò Alemanni, ne scoprì un esemplare e
lo pubblicò con note e traduzione latina. L’autenticità dell’opera fu
sulle prime messa in dubbio dal momento che rappresentava «il rovescio
della medaglia della letteratura elogiativa di età giustinianea e
contrastava vivacemente, per scopi e contenuti, con quanto Procopio
aveva scritto nelle altre sue opere»: Giustiniano viene dipinto come «un
crudele tiranno» e allo stesso tempo Belisario, l’uomo al cui servizio
Procopio era stato reclutato, è presentato come «un inetto succube della
moglie Antonina» e «un incapace».
Il principale bersaglio di
Procopio resta Teodora, «l’imperatrice venuta dal bordello»: «con gli
amanti era piena di scherzi e civettuola e, provocandoli con sempre
nuove forme di accoppiamento, riusciva a legare a sé per sempre
l’affetto dei dissoluti». Pochi anni prima di conoscere Giustiniano, nel
518, Teodora era stata la concubina di un illustre cittadino di Tiro,
Ecebolo, che l’aveva portata con sé in Libia di cui era governatore.
Giustiniano la conobbe nel 522, ne fece la propria amante pretendendo
che immediatamente le fossero concesse la dignità patrizia e una
speciale licenza, così da poterla sposare. L’imperatrice Eufemia, moglie
di Giustino I, si oppose e solo la sua morte, l’anno successivo, rese
possibile che i desideri del futuro imperatore fossero esauditi. Con il
consenso di Giustino I («un vecchio decrepito, del tutto ignaro di
lettere, quello che si dice un analfabeta, cosa mai capitata prima ai
Romani», lo descrive Procopio), che non dava importanza alle decisioni
private di Giustiniano.
Nella vita di Giustiniano, Teodora assunse
un ruolo di primo piano nel gennaio del 532, allorché, scrive
Ravegnani, «emerse in grande stile sulla scena per contribuire alla
repressione di una rivolta popolare scoppiata a Costantinopoli». Da quel
momento fu fondamentale per il consorte, all’epoca impegnato in un
complicato conflitto con i Persiani. Teodora diede a Giustiniano quella
sicurezza psicologica che gli consentì di trasformarsi in uno statista.
Statista a cui vanno riconosciuti molti successi militari nonché
importanti innovazioni nel settore urbanistico. Ma che resterà nella
storia per una raccolta, il Corpus Iuris Civilis , che è «tuttora alla
base della civiltà giuridica di molti Paesi». Teodora aiutò Giustiniano
anche quando lo indusse a liberarsi di collaboratori preziosi come il
prefetto Giovanni di Cappadocia, un uomo di grandi capacità ma che,
molto probabilmente, stava preparando un colpo di Stato contro
l’imperatore. Altro personaggio di rilievo di questa stagione è il
generale Belisario, impegnato dapprima a contrastare gli Unni Cutriguri
che minacciavano Costantinopoli, in seguito nella spedizione contro i
Vandali ariani e persecutori dei cattolici al fine di riconquistare
Cartagine. Anche lui sospettato di cospirazione, poi riabilitato, quindi
messo nuovamente sotto accusa e riportato al comando infinite volte.
Belisario, scrive Ravegnani, fu un generale assai brillante e, a
dispetto delle critiche mossegli per la sua strategia fin troppo
prudente, fu «il principale artefice della riconquista dei territori
occidentali», un’operazione che sembrava impossibile data la scarsità di
mezzi e di uomini messigli a disposizione dall’impero. A lui si devono
il lungo assedio di Roma tra il 536 e il 537 e la riconquista della
città caduta in mano ai Goti. Dopodiché, nel 546, Roma venne di nuovo
messa a sacco dai Goti: nella città erano rimaste solo cinquecento
persone che furono deportate in Campania, talché l’urbe per un
consistente lasso di tempo rimase deserta.
La moglie di Belisario,
Antonina, anche lei legata agli ambienti dell’ippodromo («non era certo
un campione di moralità», scrive lo storico, «aveva condotto una vita
dissoluta e continuava a volerlo fare anche dopo aver sposato il grande
generale»), fu, assieme a Teodora, la figura di maggior spicco nella
«corte parallela al femminile» che caratterizzò l’epoca giustinianea.
Corte parallela protofemminista al punto che fu spesso tributato a
Teodora il titolo di «paladina delle donne», dal momento che
l’imperatrice si impegnò in una guerra senza quartiere contro la
prostituzione — soprattutto in odio agli sfruttatori — nonché in difesa
del ruolo della moglie nel matrimonio. Battaglie che, però, Procopio
tende a mettere in ombra. La corte parallela di Teodora restò poi unita
nella lotta sia contro Giovanni di Cappadocia che contro papa Silverio.
Quanto
al conflitto con il Pontefice, l’autore mette in risalto quanto
Giustiniano fosse un imperatore molto religioso e alla religione
dedicasse buona parte della sua produzione legislativa. Quasi un quinto
delle circa cinquecento leggi da lui emesse riguardavano questioni di
ordine religioso. Ma la deposizione nel 537 di papa Silverio a opera di
Belisario fu un episodio che segnò l’epoca. Silverio fu accusato da
Antonina di essersi venduto ai Goti, gli furono strappate le insegne: fu
rivestito con una tonaca monacale e mandato in esilio nelle isole di
Palmaria (Ponza e Palmarola).
Al suo posto fu nominato Papa
l’intrigante Vigilio, già rivale di Silverio, assurto al trono
pontificio con l’aiuto di Belisario e Antonina. Presto, però, anche
Vigilio entrò in conflitto con Giustiniano e nella storia della Chiesa è
ricordato per aver dovuto subire, a questo punto, una serie di
umiliazioni mai toccate a nessun suo predecessore.
Per il resto le
cure maggiori di Giustiniano — a ciò spronato da Teodora — furono
rivolte all’eliminazione della dissidenza religiosa, «cosa che fece con
una determinazione mai sperimentata fino al suo regno». Le sette
ereticali e il paganesimo erano già stati colpiti dai suoi predecessori,
ma in un contesto di sostanziale tolleranza. Il culto ebraico ebbe una
«condizione privilegiata», ma nel 535, dopo la riconquista dell’Africa,
l’imperatore ordinò che tutte le sinagoghe fossero convertite in chiese.
Dopodiché la vittima più illustre delle persecuzioni giustinianee fu la
scuola filosofica di Atene, ultimo riparo delle tradizioni pagane: ai
professori che non vollero convertirsi fu consentito l’esilio alla corte
del re persiano Cosroe I, che si vantava di essere un filosofo. Le
persecuzioni in una certa fase toccarono anche i monofisiti, che però
non vennero mai abbandonati da Teodora. Fu solo quando l’imperatrice
morì (nel 548, 17 anni prima del marito) che — secondo Giovanni di Efeso
— le cose per i monofisiti si misero al peggio. Così agendo,
Giustiniano finì con l’approfondire il solco già esistente con
l’Occidente e, in particolare, con la Chiesa romana, che in epoca
successiva avrebbe dato molto filo da torcere ai Bizantini. Va detto
comunque «a suo discarico», precisa Ravegnani, «che la questione
religiosa era pressoché insolubile, nonostante gli sforzi di Giustiniano
e di altri sovrani, e non sarebbe stata risolta se non indirettamente
nel secolo successivo, allorché l’imperatore perse i territori di fede
monofisita, che vennero conquistati dagli Arabi».
In ogni caso il
«lungo e per tanti versi straordinario regno di Giustiniano» segnò la
seconda metà del primo millennio. Per la sistemazione del diritto di cui
abbiamo detto. Per le costruzioni monumentali. Per la presenza in
Africa, che venne mantenuta pressoché intatta fino al 698, quando gli
Arabi si impadronirono di Cartagine. Per la stessa penisola italiana
dove, nonostante la frantumazione prodotta dai Longobardi, i Bizantini
conservarono la loro presenza per secoli. Nel 751 i Longobardi
travolsero l’esarcato di Ravenna e con esso i possedimenti di Bisanzio
nel Centro e nel Nord della penisola. La Sardegna si rese indipendente
nel corso del IX secolo. La Sicilia fu contesa agli Arabi invasori che
vi arrivarono dalla Tunisia nell’827 e che poi furono costretti a
combattere fino al 902 prima che riuscissero a impadronirsi dell’isola.
Ma nel Sud i Bizantini estesero i loro possedimenti a Calabria,
Basilicata e Puglia, finché nel 1071 il loro potentato fu «spazzato via»
dall’espansionismo normanno. Una lunga storia, quella che aveva avuto
inizio con Giustiniano. Lunga e duratura. Grazie al ruolo politico di
sua moglie, Teodora. Che — anche per questo — non merita di passare alla
storia come nel dramma di Sardou.