Il Fatto 12.7.16
Il sindaco Nardy, l’uomo ombra col violino in spalla
di Andrea Scanzi
La cosa che più colpisce di Dario Nardella è il fatto che, quando lo guardi o addirittura ascolti, non c’è nulla che di lui ti colpisca. Nulla: proprio nulla. Sembra l’amico meno dotato e dichiaratamente anonimo che qualsiasi ragazzotto ambizioso si sceglie per avere accanto e quindi emergere. Il “ragazzotto ambizioso”, ovviamente, è (era) Renzi, che avrà subito pensato che dal confronto con Nardella non potesse che uscire vittorioso. Addirittura trionfante: così, per contrasto. Nardella è nato a Torre del Greco nel 1975. Il suo sogno era quello di fare il violinista, e in violino si è diplomato nel 2001 al Conservatorio Luigi Cherubini di Firenze. In quegli anni capitava anche di vederlo, nei ristoranti e negli hotel, in concerto. Un tenero violinista ambulante. Poi, sciaguratamente, si è reso conto di non essere abbastanza bravo col violino e ha ripiegato su un mondo dove spesso per emergere basta pochissimo: la politica. Il suo ex professore e direttore d’orchestra, Alessandro Pinzauti, ne ha garantito la vocazione: “L’istinto politico era presente in lui anche negli anni del Conservatorio. Già manifestava un’attitudine all’ascolto del mondo attorno a lui e la capacità di mettersi in discussione. Ce ne fossero, di politici con un background simile”. Parole inattaccabili. Mai però quanto il finale: “Speriamo che non si guasti crescendo”. E chissà se, crescendo, il buon Nardy non si sia in effetti un po’ guastato. Nardella è da due anni il sindaco ruggente di Firenze, tra scazzi con McDonald’s (ma più che altro coi fiorentini) e alluvioni sapientemente gestite, ma col violino non ha smesso. Ama impreziosire i matrimoni dei renziani con alcuni suoi mini-concerti, tra un’Ave Maria e un Bach, si presume generando sui presenti lo stesso entusiasmo che susciterebbe un unplugged di Mariano Apicella alla Sagra del Baccello di Salutio. Il buon vecchio zio Nardy è uno dei più stretti collaboratori di Renzi, che del resto ama circondarsi di gente che non gli faccia ombra, e con Nardella il rischio proprio non lo corre. I due si mandano sms di continuo, rispettando (così ha scritto Marianna Rizzini sul Foglio) lo schema un po’ criptico: “Io rompo, tu ricuci, io ricucio, tu rompi”. E qui non si capisce cos’è che rompano, anche se qualche idea in merito viene. Nardella è stato collaboratore di Vannino Chiti, è laureato in Giurisprudenza e – a dispetto del look catacombale – è meno moderato di quel che sembra. O così lo dipinge chi ben lo conosce. Suole vivere in tivù, anche se col tempo è diventato un personaggio mediatico un po’ di rincalzo, da mandare al macello in trincea quando c’è da difendere l’indifendibile (per esempio dopo l’accoltellamento dal notaio di Ignazio Marino). Di persona è furbo e scaltro: cerca sempre di ingraziarsi gli interlocutori poco renziani. Dialetticamente debole, anzi debolissimo. I suoi baci della morte non sono rari. Un anno fa, prima delle comunali ad Arezzo, disse praticamente dal palco che il candidato Big Jim-boschiano Matteo Bracciali aveva già vinto. E in effetti nel Pd lo pensavano tutti. Solo che, straordinariamente, Bracciali riuscì a perdere: idolo assoluto. Uomo di impalpabile carisma e smisurata propensione alla marginalità, come si è avuto modo di scoprire anche l’altra sera a In onda estate, Nardella è lo yesman perfetto per i dittatorucoli di seconda fascia. Lo sa lui come lo sa Renzi. E i risultati si vedono.