Repubblica 31.5.16
Dietro il voto nelle città le manovre dei centristi
Il bivio del premier, senza vittoria piena sarà compromesso
Migranti e ripresa economica al minimo creano uno sfondo insidioso Palazzo Chigi ormai diviso da un fossato con la sinistra del Pd
di Stefano Folli
NON c’è alcun nesso fra le due cariche, ma anche i simboli hanno la loro importanza. E proprio un nome simbolo dell’epoca di “Mani Pulite”, l’allora giovane pm Greco, occupa da ieri la poltrona di procuratore di Milano. È noto che da qualche settimana un altro magistrato che ci rimanda in modo emblematico a quella stagione, Davigo, è il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Greco è conosciuto per le sue qualità professionali, per la competenza nel campo dei reati finanziari e per l’equilibrio. La sua nomina da parte del Csm è figlia di una votazione ampia e convinta, ma è anche una prova di autonomia da parte del Consiglio. E da oggi due delle voci più importanti della magistratura, sia pure con incarichi non paragonabili fra loro, rinviano idealmente entrambe al biennio tumultuoso in cui la Prima Repubblica collassò, aprendo la porta a una lunga, tormentata e per certi versi non ancora conclusa transizione. Sotto un certo aspetto Greco e Davigo sono simboli che parlano alla debole politica di oggi. In qualche misura costituiscono un invito implicito a rendere più credibile il paese sul piano della legalità. Un messaggio abbastanza chiaro ai palazzi romani perché rendano meno opachi i processi politici e i giochi dietro le quinte.
Vale la pena notare che tale messaggio arriva mentre mancano pochi giorni al passaggio non secondario del voto nelle città. Ed è evidente che dietro il palcoscenico della politica sono cominciate alcune grandi manovre. Lo sfondo è drammatico soprattutto per due ragioni. Da un lato, le ondate degli immigrati aumentano con il progredire della bella stagione e portano con sé nuove tragedie del mare: l’Italia è, al solito, quasi sola nel fronteggiare la crisi. Dall’altro, la ripresa economica è minima, quasi impercettibile per l’italiano medio, il cui malessere diffuso non può non inquietare (vedi l’analisi di Ilvo Diamanti ieri su questo giornale).
IN questo clima molti prevedono un aumento dell’astensionismo. Ma la fuga dalle urne, che fu incoraggiata in occasione del referendum sulle trivelle, oggi rischia di imporre un prezzo salato alle forze di governo: sia nelle amministrative di domenica e del 19 giugno, sia nella consultazione di ottobre sulle riforme. Lì soprattutto l’astensione potrebbe falsare i pronostici e offrire qualche sorpresa. Allora ecco le manovre, inevitabili quando la situazione non è chiara. Berlusconi torna a definirsi “di centro” e rilancia la prospettiva di un governo di “larghe intese” dopo il referendum d’autunno: chiede alla sua opinione di votare No, ma in cuor suo pensa che anche una vittoria di Renzi, cioè del Sì, purché striminzita nei numeri - quindi non il famoso plebiscito cercato dal premier - possa servire ugualmente allo scopo.
Alfano da parte sua lancia l’ipotesi di una nuova alleanza centrista, con un nome nuovo e si spera con maggiore capacità di attrarre consenso. Il ministro dell’Interno intuisce che deve giocare d’anticipo per non rischiare che il suo piccolo partito, accreditato dai sondaggi fra il 3 e il 4 per cento, finisca nell’angolo. Il gruppo di Verdini è a sua volta in azione: non certo per entrare nel “partito della nazione”, come qualcuno sostiene con superficialità, bensì per costituire una testa di ponte “centrista” (di nuovo il richiamo al Centro che sta tornando di moda) e condizionare il Pd soprattutto nella prossima legislatura. Quando la convivenza fra renziani e sinistra dovrebbe rivelarsi impossibile.
In effetti il referendum sta scavando un fossato fra il Pd del premier e il Pd dei suoi oppositori interni. È presto per parlare di scissione perché un posto in lista alle elezioni interessa a tanti, più di quanto faccia gola un’avventura alla ricerca di uno spazio esterno. Ma è chiaro che il referendum è la linea del Piave degli anti-renziani. Quindi le insidie che minacciano il presidente del Consiglio sono numerose e i prossimi appuntamenti appaiono cruciali. Qualsiasi mezza vittoria lo obbligherà a un compromesso. Mai come stavolta la vittoria limpida è l’unica opzione di un leader che si è bruciato molti vascelli alle spalle.