lunedì 13 giugno 2016

Repubblica 13.6.16
L’imperatore che inventò la realpolitik
Un monumentale saggio di Alessandro Barbero su Costantino sfata luoghi comuni durati secoli
Non fu lui a emanare l’editto sulla tolleranza e anche la sua “visione celeste” è dubbia
Con misure clientelari cercò il consenso di molti gruppi sociali. Inclusi i cristiani
di Chiara Frugoni

Alessandro Barbero, concludendo il suo “Costantino il vincitore”, (Salerno editrice) scrive: «Questo libro avrà raggiunto il suo scopo se riuscirà a convincere i suoi lettori che gli studi costantiniani, nonostante la loro apparente floridezza, avrebbero un gran bisogno di un rasoio di Occam, che venisse a spuntare la barba di Eusebio» (l’allusione è al principio formulato da Guglielmo di Occam: inutile formulare più ipotesi del necessario per spiegare un problema; Eusebio di Cesarea è una delle importanti fonti per ricostruire la
figura di Costantino, che come tutte le altre, sono state passate al vaglio della critica moderna, proponendo però spesso stupefacenti congetture e interpretazioni). In realtà Alessandro Barbero ha usato egli stesso lungo tutto il libro il rasoio di Occam e si rimane veramente stupiti nel constatare come serissimi studiosi di storia antica si siano mostrati tanto disinvolti nel trasformare labili indizi in granitiche certezze, approssimativi e disattenti nel controllare le fonti e le proprie affermazioni, pronti a fraintendere e, francamente, a immaginare.
Costantino il vincitore è un volume impegnativo per il numero di pagine (con gli indici, 850) ma non per la lettura, che risulta appassionante e piacevole insieme. Si tratta dunque di un saggio assai documentato (nella bibliografia le opere citate superano largamente il migliaio), rivolto agli studiosi, ma anche al grande pubblico, per lo stile piano e discorsivo, spesso ironico e sorridente.
Diciamolo subito: tutto quello che abbiamo imparato sui libri di scuola va rivisto, dalla croce accompagnata dalla scritta “in hoc signo vinces” apparsa in cielo a Costantino alla vigilia della vittoriosa battaglia di Ponte Milvio, all’editto di tolleranza di Milano del 313 che non fu emanato a Milano, non fu un editto e fu pubblicato dal collega e rivale di Costantino, Licinio.
Alessandro Barbero lascia parlare, per poi discuterla, ogni fonte da sé, in modo autonomo; accanto alle fonti scritte sono presentate, ognuna con la propria specificità e nel suo contesto, anche le testimonianze materiali: le monete, le epigrafi, i monumenti.
Il libro segue Costantino dalla giovinezza alla morte: una vita segnata anche da truci vicende famigliari: fece uccidere la seconda moglie Fausta, il padre e il fratello di lei e il proprio figlio Crispo, che lo aveva aiutato in tante vittorie. La battaglia di Ponte Milvio del 313, una vittoria schiacciante e inaspettata con lo scempio del cadavere di Massenzio, produsse un’enorme impressione: l’imperatore è vincitore di una guerra civile nella quale le sue mani «grondano di sangue romano». Dai pericoli della mischia furibonda e da giudizi che potrebbero essere non del tutto benevoli Costantino fu messo al riparo dalla visione celeste avuta prima della battaglia che gli assicurava la vittoria. Tuttavia i racconti di Eusebio di Cesarea e di Lattanzio divergono in maniera sostanziale. Secondo Eusebio sarebbe stato lo stesso imperatore ben dopo gli avvenimenti a raccontargli dell’apparizione in cielo: «Il trofeo della croce fatto di luce e accanto una scritta: “Con questo segno vinci”», apparizione vista da Costantino e dall’esercito. Alessandro Barbero nota l’inverosimiglianza del fatto che nessuno degli spettatori abbia mai raccontato il portento attendendo che l’imperatore molti anni dopo decidesse, lui solo, di rompere il silenzio. Secondo Lattanzio, l’imperatore vide invece in sogno “caeleste signum Dei” descritto in modo assai poco chiaro: una Chi greca messa di traverso e una Rho (che in greco, ha la forma della nostra P) e gli fu ordinato di mettere tale “signum” sugli scudi prima di attaccare battaglia. La storiografia si è puntualmente divisa intendendo o che Lattanzio pensasse al simbolo della croce o invece a un cristogramma formato dalle prime due lettere greche XP della parola Cristo. (Entrambe le possibilità sono state raccolte dall’iconografia).
Tuttavia il signum di Lattanzio era anche un emblema solare e dunque forse Costantino stesso, in quel tempo devoto al culto del Sole, potrebbe avere scelto un simbolo che attirava pagani e cristiani. Forse si è trattato addirittura di un’invenzione di Lattanzio: non esiste alcuna attestazione iconografica strettamente contemporanea del signum Dei iscritto sugli scudi, né sulle monete, né sull’arco di Costantino. Lattanzio raccontò una storia molto simile, attribuendo un sogno di ispirazione cristiana a Licinio, un sogno che la storiografia ha del tutto dimenticato, perché, mi permetto di azzardare, Licinio è un perdente, sconfitto da Costantino, giustiziato per avere complottato una rivolta e Costantino è, come egli stesso si soprannominò, il Vincitore.
Mi è impossibile dare conto, nello spazio a disposizione, della vastità della ricerca di Alessandro Barbero, frutto di anni e anni di studio. Voglio sottolineare però, che dopo avere maneggiato con tanta maestria il rasoio di Occam, l’autore ha contribuito a delineare con molta sicurezza un inedito e finalmente più sicuro ritratto di Costantino. Politico abilissimo, divenuto unico imperatore per spietata durezza e grandi doti militari, Costantino lavorò alla costruzione di un potere imperiale e dinastico assicurandosi il consenso di alcuni compatti gruppi sociali anche con sbalorditive concessioni. Ad esempio i grandi possessori di fondi fiscali non dovevano essere vessati dai funzionari le cui verifiche, se ritenute ingiuste, avrebbero comportato la morte sul rogo di chi in teoria cercava di difendere gli interessi del fisco. Costantino assicurava così una protezione che aveva valenza clientelare. Vietò le vendette politiche e le delazioni: un altro modo per garantirsi la gratitudine di chi si era arricchito ad esempio sotto Massenzio e temeva l’ira del vincitore. Rassicurò i veterani concedendo una serie di immunità.
Avendo compreso che anche i cristiani erano un compatto gruppo sociale, in prospettiva sempre più importante, mostrò per la nuova religione tutta la sua benevolenza, anche se fino alla fine della vita, pur manifestando una crescente freddezza verso i pagani, salvaguardò i culti civici e i sacerdoti loro addetti, senza chiudere i templi. Tutta la politica di Costantino fu di natura inclusiva, tesa a evitare i contrasti.
Costantino solo in punto di morte ricevette, forse, il battesimo. Convinto per tanti anni di essere protetto da varie divinità pagane (come dimostrano le monete) credette davvero, nella maturità, nell’esistenza di un unico Dio? Perché la Chiesa scelse Costantino come il primo imperatore cristiano? Qui potrebbe iniziare un altro libro.
IL LIBRO Costantino il vincitore di Alessandro Barbero ( Salerno pagg. 852 euro 49)