Marco Bellocchio
“Ho condiviso le battaglie di Pannella. Ora i 5 Stelle sono i suoi successori”
Il regista: “Mi commuovo per le aperture del Papa sul tema della carità e dell’abbattimento dei muri”
intervista di Fulvia Caprara
Da oggi al 12 giugno ad Asti il festival diretto da Alberto Sinigaglia mette a confronto l’anno in corso con uno della storia: questa volta «1936-2016: il consenso, la menzogna e la guerra». Tra gli ospiti Maurizio Molinari, Ferruccio De Bortoli, Sergio Romano e domani il regista Marco Bellocchio.
Marco Bellocchio è un regista in perenne movimento, per descriverlo si dovrebbero usare parole come ricerca, curiosità, attenzione agli altri, apertura verso il cambiamento. Per questo, negli anni, è riuscito a evitare le etichette scontate che, dai tempi dei «Pugni in tasca», in tanti hanno cercato di attribuirgli. Per questo, a differenza di molti altri autori, è una persona che, oltre a dare risposte, fa tante domande. Per questo i soggetti dei suoi film, soprattutto nell’ultimo periodo, sono diversi e imprevedibili.
A ottobre arriverà nelle sale «Fai bei sogni», basato sul best-seller di Massimo Gramellini, intanto l’autore sta preparando il film dedicato al super-pentito Tommaso Buscetta, senza dimenticare le esperienze del passato, come quella di «Vincere» (di cui parlerà domani a Asti nell’ambito del Festival Passepartout) e lasciando aperta la finestra sull’attualità, su quel mutare che lo coinvolge sempre, in prima persona.
Presentando il film su Buscetta ha parlato di tradimento, argomento che aveva affrontato anche ai tempi di «Vincere», dove Mussolini era insieme traditore di una donna e traditore della patria. Perché è importante raccontare il tradimento?
«La storia è piena di traditori, lo sono stati tutti i grandi protagonisti della Rivoluzione Francese che hanno tradito il giuramento al Re, lo sono stati quelli del Sessantotto che hanno tradito la loro educazione e i loro principi e poi, nel dopoguerra, ce ne sono stati tanti altri... Su Giuda sospendo il giudizio. Buscetta ha detto di aver tradito perché i primi a farlo erano stati i boss di Cosa nostra, venendo meno alle loro stesse regole di appartenenza».
Tradire significa contraddirsi, cambiare posizione, cose che avvengono spesso, sia fra i politici che fra gli intellettuali.
«Oggi sono tutti giocolieri della parola, ci possono essere posizioni singole più estremiste, ma nei partiti che governano l’Italia prevalgono liberalismo diffuso e un certo vagante radicalismo di sinistra. Quello che colpisce è che gli estremisti di destra, come quelli di CasaPound, come Matteo Salvini, dichiarano cose bestiali per poi correggersi immediatamente dopo».
Effetti della propaganda, favorita dallo sviluppo della comunicazione, proprio a iniziare da Mussolini e dal fascismo.
«Sì, quella fu una vera rivoluzione. Nell’Europa occidentale il Duce fu il primo a intuire la potenza della propria immagine. Prima di lui, a parte Garibaldi, i politici come Crispi, Nicotera, Giolitti, erano uomini di grande potere, ma con volti assolutamente anonimi. Mussolini, invece, impose la propria immagine, proprio attraverso il cinematografo, la radio, la fotografia, e questa fu un’assoluta novità storica. Fecero così Hitler e, in forma più precaria, anche Lenin e, soprattutto, Stalin».
Oggi la propaganda ha a disposizione strumenti potentissimi, web in testa.
«Certo, e il suo potenziale è mille volte più aggressivo, diffuso, istantaneo. Prima c’erano le edizioni straordinarie dei giornali, ma non sono paragonabili all’enorme diffusione di smartphone e simili, adesso l’informazione dilaga, facendo venir fuori cose che prima restavano chiuse in luoghi interni, è una specie di bomba atomica, un magma in cui i giovani di oggi sono immersi. Personalmente mi sono autoescluso da tutto questo, ma mi colpisce molto l’istantaneità, per esempio delle notizie di morti. Mentre prendi un caffè al bar puoi venire a sapere che è mancato Albertazzi, oppure Scola, e le reazioni sono lì, immediate».
Quali sono, secondo lei, gli effetti del sapere tutto e subito?
«La democrazia è più manipolabile, penso anche alla tv e ai talk show, ai tanti volti che appaiono spesso e poi scompaiono come meteore. Con quali criteri si invitano le persone? E perché accettano? Non so, Cacciari, perché va in tv? La mia impressione è che, se ci si va ogni tre sere, è inevitabile ripetersi, e lo spettatore lo capisce. Poi ci sono altri, come Pannella, che riusciva a essere sempre protagonista».
In che modo?
«La sua forza derivava dalla coerenza morale, da non deflettere mai dai propri principi. Accettava le alleanze tattiche, ma le sue idee restavano le stesse, la sua anima non veniva scalfita. Da laico, ho condiviso le sue battaglie, mi trovavo sulla sua lunghezza d’onda e mi sembra chiaro che, in modo diverso, più pragmatico, il Movimento 5 Stelle ne sia il successore».
E di Renzi cosa pensa?
«Vive molto nel presente, è un politico moderno, mi fa ridere Crozza quando ne fa l’imitazione, ma non sono tra quelli che lo demonizzano. Per esempio, a proposito del referendum costituzionale, penso che si sia partiti da un’istanza che tutti sentivano e, anche se è una riforma azzoppata, voterei per il sì. Non credo che in Italia ci sia il pericolo della dittatura».
Ha detto «da laico», ma ultimamente, in vari punti delle sue opere, c’è chi ha intravisto segnali di un atteggiamento nuovo nei confronti della religione.
«Con l’età il mio animo può essere cambiato, posso commuovermi davanti a certe aperture del Papa sul tema della carità e dell’abbattimento dei muri... Il sentimento vero dell’accoglienza è soprattutto nelle sue parole, e questo è apprezzabile. I partiti, invece, sono tutti più prudenti, sulla difensiva. Io comunque resto laico, nell’aldilà non credo, anche se alcuni sacerdoti, come Virginio Fantuzzi, intravedono nei miei film messaggi di un cammino verso un’altra direzione».
Oggi la posizione sui migranti fa la differenza.
«Si, ed è ipocrita chi dice: “Rimandiamoli a casa loro”. Le migrazioni invaderanno la storia per i prossimi cinquant’anni. E mi dispiace che certe forze politiche cerchino consensi battendo sul lato peggiore delle persone, consensi usando cinismo e falsità».
Guardare sempre avanti significa non avere nostalgie. Per lei è così, anche nei riguardi dell’attuale politica italiana?
«Viviamo nel 2016, bisogna partire da quello che c’è, non mi viene da piangere pensando ai vecchi giganti della politica come Togliatti, Nenni, Saragat e, anche se può essere affascinante raccontarla, non ho rimpianti per l’Italia scomparsa».
Però la Storia e le storie le piacciono.
«Sì, mi piace ascoltare, da vero provinciale, mi piaceva, a suo tempo, sentir parlare Moravia, e poi Scola, Monicelli, Scarpelli, Sonego... Avevano una straordinaria capacità di racconto, anche ironizzando, anche esagerando».