il manifesto 22.6.16
il No antifascista spiegato a Boschi
di Mauro Volpi
Alle
17.30 di oggi a Perugia si svolgerà una iniziativa per il No al
referendum costituzionale organizzata dall’Anpi alla quale parteciperà
il suo presidente nazionale Carlo Smuraglia, che si svolgerà al Teatro
del Pavone, lo stesso luogo dove il 6 maggio la ministra Boschi ha
insultato i sostenitori democratici del No equiparandoli ai fascisti di
CasaPound.
L’iniziativa, oltre ad essere una risposta civile alla
sguaiata provocazione della ministra, vuole mettere l’accento sullo
stravolgimento di alcuni principi tipici del costituzionalismo
democratico che sono capovolti dall’insieme delle due leggi, elettorale e
costituzionale, approvate dalla maggioranza parlamentare. Innanzitutto
viene ribaltata l’idea di fondo secondo la quale «I governi cambiano, la
Costituzione rimane», soppiantata da quella per cui «La Costituzione
deve cambiare perché il governo resti». Infatti la riforma
costituzionale è diventata il cuore del programma politico del governo e
quindi si vuole degradare la Costituzione al livello di una qualsiasi
legge politica, sacrificando il suo ruolo essenziale di «casa comune»
posta al di fuori e al di sopra della politica e delle maggioranze
congiunturali.
Altro ribaltamento riguarda il ruolo della legge
elettorale, che dovrebbe essere servente nei confronti dell’assetto dei
poteri disegnato nella Carta. Ebbene l’Italicum, approvato un anno prima
della legge costituzionale, ha dato la linea che questa doveva seguire,
cioè quella della non elettività popolare del senato, e per giunta,
riguardando la sola camera, ha compiuto la scelta avventuristica di dare
per scontato che la «riforma» costituzionale sarà senz’altro approvata.
Inoltre la legge elettorale, anziché garantire il principio di
rappresentanza e la partecipazione, le comprime in modo irragionevole e
squilibrato, in quanto attribuisce almeno il 54% dei seggi alla camera a
un’unica lista con il 30% o anche meno dei voti e riduce il valore del
voto alle altre liste a circa un quarto di quello assegnato al voto per
la lista arrivata in testa.
Lo stesso principio della sovranità
popolare, che va esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione,
viene ad essere drasticamente ridimensionato, in quanto i cittadini non
avranno il diritto di eleggere gli organi dei cosiddetti Enti di area
vasta (così come hanno perduto quello di eleggere i consigli e i
presidenti delle province) e il senato, messo nelle mani per 95 membri
(consiglieri regionali e sindaci) dei consigli regionali e per 5 del
presidente della Repubblica, né potranno scegliere almeno i tre quinti
dei deputati che saranno rappresentati dai capolista bloccati e quindi
in pratica nominati dall’alto.
Anche il principio della
separazione e dell’equilibrio dei poteri non resta immune dalla furia
iconoclasta dei cosiddetti riformatori. Avremmo infatti una Repubblica
fondata sulla concentrazione e sullo squilibrio fra i poteri:
all’interno del parlamento fra camera e senato, privo di legittimazione
popolare e con poteri non decisionali sulla gran parte delle leggi, ma
che potranno solo ritardare il voto finale della camera, dando vita per
di più a complicazioni procedurali (con almeno sette diversi
procedimenti legislativi) e ad una frequente conflittualità; fra
parlamento e governo, controllato da una lista di minoranza trasformata
artificialmente in maggioranza, la quale potrà imporre la sua volontà su
politica economica, politica estera, giustizia, attuazione (o
inattuazione) dei diritti, delibera dello stato di guerra; infine fra
governo e «capo» plebiscitato dal popolo, che darà vita ad un sistema
basato sull’uomo solo al comando, da sempre gradito all’estrema destra,
senza i contrappesi previsti nel presidenzialismo degli Stati uniti
(dove il congresso ha poteri forti e può anche destituire il presidente
per avere commesso «gravi reati», come è stato considerato per Clinton
quello di avere mentito al parlamento). Altro che innovatori! Sono
autentici conservatori quelli che vogliono sancire nella Costituzione lo
stato di cose esistente creato negli ultimi venti anni, fondato di
fatto sullo squilibrio fra i poteri e sull’appropriazione della funzione
legislativa da parte del governo.
A essere pregiudicato è anche
il principio autonomistico, in quanto il necessario riequilibrio
rispetto alla riforma «federalista» del 2001 sfocia nell’estremo opposto
di un nuovo centralismo, che attribuisce alla sola camera, con
esclusione del senato, in teoria rappresentativo delle istituzioni
territoriali, la competenza legislativa in materie di sicuro interesse
regionale, come la tutela della salute, l’istruzione, il governo del
territorio, l’ambiente, e che per di più esclude dalla nuova disciplina
le Regioni a statuto speciale fino a che non saranno modificati i loro
statuti con legge costituzionale.
Infine la Repubblica democratica
fondata sul pluralismo viene ad essere messa in discussione da chi
straparla di assenza di alternativa al governo e al presidente del
consiglio in carica e minaccia sfracelli se vincerà il No. In una
democrazia costituzionale, e quindi pluralistica, vi è sempre la
possibilità di dare vita ad una alternativa e nessun ricatto politico
può giustificare il ribaltamento di principi fondamentali della
Costituzione antifascista.