Per il governo la vera sfida è sul nodo immigrazione
di Massimo Franco
Nel Pd continua la guerra fredda, ma il governo accredita una rimonta in vista delle Amministrative di domenica. Tra maggioranza di Matteo Renzi e minoranza le tensioni rimangono alte: sebbene più per il referendum istituzionale di ottobre che per il voto nelle grandi città. Il tentativo è di proiettare lo scontro oltre quelle elezioni; se è possibile, di rimandarlo al futuro congresso del partito. Ma non è chiaro se a mobilitare gli avversari interni del premier a favore dei candidati sindaci sia la convinzione che tanto la vera battaglia sarà quella referendaria.
Sta di fatto che almeno alcuni esponenti della minoranza come Gianni Cuperlo cercano di congelare le polemiche: un appello rivolto anche a Palazzo Chigi. E il vertice del Pd sembra accogliere l’invito con il presidente Matteo Orfini. «Devono calmarsi tutti», dice, pur ammettendo che la «tregua di sei mesi» non ha funzionato, finora. Strappare un buon risultato rafforza Renzi, certo. Chi lo contesta, però, non può permettersi di essere accusato di scarso impegno, o peggio di avere giocato per perdere. Insomma, l’impressione è che non sia solo il premier a ritenere le Amministrative un passaggio «minore»: nonostante il rischio di un’astensione enorme.
Nella doppia sfida voto-referendum si annidano insidie interne e esterne. Una sconfitta del Pd lungo l’asse Milano-Roma-Napoli indebolirebbe il governo e accentuerebbe il carattere di sfida finale della consultazione autunnale: se dovessero prevalere i No, Renzi ha già ribadito che getterebbe la spugna. Con un risultato positivo almeno nel capoluogo lombardo, invece, la speranza di una vittoria dei Sì sarebbe più fondata. «Sarà lo spartiacque tra passato e futuro», ribadisce il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, in Germania a spiegare i risultati del governo Renzi.
Ma è uno spartiacque che ha bisogno anche del Pd. Il vicesegretario Lorenzo Guerini evoca, negandolo, un conflitto che potrebbe riemergere. «Tutto il partito», riconosce, «sta lavorando per le elezioni... Sono certo che sarà così anche per il referendum costituzionale». È una certezza meno diffusa e convinta di quanto appaia. Le condizioni che personaggi storici del Pd come l’ex segretario Pier Luigi Bersani hanno posto a Renzi sono destinate a diventare più stringenti: a cominciare da un ripensamento del sistema elettorale.
E poi, l’asse con Denis Verdini, transfuga berlusconiano, rimane una spina nel fianco della sinistra. Al gruppo dirigente si imputa di essere asserragliato dentro Palazzo Chigi; e di sospettare di chiunque non mostri assoluta fedeltà. Renzi respinge la critica, sostenendo invece di essere a capo dell’«unico partito in Italia che non butta fuori quelli che non la pensano come loro». L’allusione è ai regolamenti di conti nel M5S. Ma anche lo scontro nel Pd appare solo rinviato: al 6 giugno e, soprattutto, a ottobre. Con immigrazione e crisi economica come convitati di pietra.