Corriere 1.6.16
L’anfiteatro di Paestum e la catapecchia abusiva che non si può demolire
Per i restauri stanziati 38 milioni. Ma manca un permesso
di Gian Antonio Stella
La comprereste per mezzo milione di euro una casa diroccata impossibile da restaurare perché costruita sopra l’anfiteatro di un celeberrimo sito archeologico e quindi stracarica di vincoli? Eppure così c’è scritto, sul cartello: «Vendesi». A chi, se potrebbe comprarla solo lo Stato? «Compriamola!», direte voi. No: anche se a Paestum stanno arrivando (era ora!) 38 milioni di euro, per quella casa non si può spendere un solo cent. Non è previsto dai «capitoli di spesa» burocratici.
Per capire cosa faccia quella catapecchia proprio là, sopra l’antico anfiteatro, occorre tornare al 1829 quando l’ingegnere Raffaele Petrilli, sciaguratamente incaricato di costruire la «Tirrena inferiore» da Salerno verso le Calabrie, pensò bene di tagliare in due le rovine di Paestum, demolire la Porta Aurea, segare a metà l’anfiteatro e il Foro per non disturbare con la nuova arteria, si disse, un signorotto della zona che aveva la tenuta lì. Risultato: salvata la parte ad ovest, tutta la parte est dell’area archeologica è stata via via sommersa da casette e casone, ville e villini, trattorie e gelaterie, pizzerie e botteghe di cianfrusaglie. Tempietti di plastica, terracotta, metallo, tempietti da attaccare con la calamita al frigo, tempietti nelle sfere di vetro che se le giri cade la neve…
Altri tempi? Per niente! Era passato oltre mezzo secolo, quando fu fatta quella strada criminale, dal 1776 in cui Alphonse de Sade aveva lanciato la sua invettiva contro chi amministrava le rovine di Pompei: «Ma in quali mani si trovano, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?». C’era già la consapevolezza che i siti archeologici andavano rispettati. Tanto è vero che il barbaro Raffaele «Attila» Petrilli finì sotto inchiesta.
Uno Stato serio, ormai alla vigilia del duecentesimo anniversario (mancano una dozzina di anni) dell’osceno stupro cementizio, requisirebbe una volta per tutte l’arteria, che oggi appartiene al Comune e non accoglie più (ovvio…) il traffico della «Statale 18». E rileverebbe a prezzo sensato (guai se accettasse le estorsioni di questo o quel privato) il rudere che dicevamo più altri pezzi di terra, costruiti o no, per ricomporre quanto più è possibile dell’unitarietà dell’antica Paestum. Cosa prevista, tra parentesi, dallo Studio di fattibilità firmato anni fa da Ottavia Voza e Fondazione Paestum.
Macché. Dopo lo spreco in passato di milioni di euro (due per il sottopasso pedonale della stazione con sedia mobile per i disabili subito arrugginita, tre per i due parcheggi e Visitor center in cartongesso e subito devastati, per non dire dei soldi buttati per un marciapiede in teak: manco si trattasse di una barca a vela) sono ora in arrivo 38 milioni di euro. Per la precisione: 20 dal ministero dei Beni culturali di Dario Franceschini (onore al merito) e 18 di «Pon», fondi strutturali europei. Ossigeno. Ma…
Al suo arrivo, mesi fa, il nuovo direttore Gabriel Zuchtriegel, archeologo, 34 anni, tedesco ma da molti anni in Italia, si era trovato in una situazione da mani nei capelli. Manutenzione ridotta al minimo. Non un cartello tra gli scavi che fosse leggibile e in condizioni decenti. Non una bacheca del primo piano del museo che non avesse le lampadine bruciate, coi turisti che accendevano la pila del telefonino per vedere i pezzi. Non una tenda che non fosse lurida. Non una moquette decorosa: era squarciata perfino quella nella stanza della meravigliosa Tomba del Tuffatore. Ciliegina sulla torta: il crollo del controsoffitto della sezione romana, all’ultimo piano, venuto giù aprendo uno squarcio di due metri per sette, con conseguente chiusura di tutta la sezione. Da avvampare di vergogna davanti a ogni turista. Pochi rispetto al valore del sito: 132.032 visitatori paganti nel 2014 contro i 157.747 del 1996.
Estraneo al temperamento bellicoso di altri svevi, Gabriel Zuchtriegel dice di aver scelto di fare un passo alla volta. La moquette. Le tende. Le lampadine. I controsoffitti. Il dialogo diretto coi dipendenti: «Ho cercato di parlare a tutti, uno ad uno». Inutile partire senza soldi. O tappare un buco mentre se ne aprivano altri. Meglio individuare le soluzioni e tenersi pronti per dare a tutto, finalmente, una sistemata. Nel frattempo, «spendendo solo duemila euro», ha fatto sfalciare l’erba e mettere in sicurezza i cavi elettrici sparpagliati ovunque e a Pasqua ha aperto (prima volta) il Tempio di Nettuno. Migliaia e migliaia di turisti. Trionfale.
Adesso, i lavori partono sul serio. Dal restauro della sala del Tuffatore (sponsor quel Vannulo che passa per un «mozzarellaro umanista» e fa sentire Mozart alla bufale ed è ricambiato con mozzarelle squisite) a tutto il resto. A partire dal Museo e dalle rovine dell’impianto Cirio che sono qualche centinaio di metri più in là dove stava il «tempio di Santa Venera». Stabilimento che aumenterà finalmente gli spazi espositivi permettendo di vedere stabilmente i pezzi conservati nei depositi, alcuni dei quali straordinari, esposti per la prima volta da metà aprile ma solo al venerdì e per pochi fortunati.
Resta, per chi ama Paestum, quel cruccio: perché non si comincia a rimuovere pezzo a pezzo quello stradone indecente per ricomporre quanto più si può dell’antica città a partire dall’Anfiteatro mozzato dall’ingegnere vandalo? Passi per il dubbio se rimettere o no in piedi monumenti abbattuti da un terremoto nel IV secolo a.C. come il Tempio G a Selinunte. Ma se Antonio Cederna battagliò per rimuovere la via dell’Impero voluta da Mussolini per far rivivere i Fori, perché non rimuovere la «Statale 18» e far rivivere l’anfiteatro?
Niente da fare: dei soldi in arrivo, spiega il direttore, non un centesimo può essere usato per comprare quella stamberga o rimuovere la strada. Perché? Perché le varie tabelle del finanziamento, nei capitoli di spesa, non lo prevedono. Non puoi comprare una matita, sancisce la burocrazia, se devi comprare penne. Sarà, ma sapete quante pagine ha Google su Paestum solo in tedesco? Mezzo milione. Più mezzo milione in francese e mezzo milione in spagnolo e mezzo milione in inglese e così via. Ve l’immaginate l’impatto mondiale di una rinascita dell’Anfiteatro e del Foro? O il figurone che farebbe un mecenate se comprasse quella catapecchia e la donasse allo Stato per farci ciò che va fatto? Insomma: se non ora, quando?