Corriere 1.6.16
L’Islam e le Crociate. Un altro punto di vista
di Pietro Citati
L’invasione degli eserciti occidentali, la conquista di Gerusalemme, i primi accenni alla parola jihad Poi il mutare della storia con l’avvento del Saladino
Nel IX e nel X secolo, la conoscenza islamica dell’Europa mescolava realtà e immaginazione. Un geografo andaluso, al Bakri, che scriveva attorno al 1070, diceva che «nell’interno della città di Roma, si trovava la chiesa di San Pietro, che conteneva l’immagine di Carlomagno (Qarulah), con oro sulla barba e sui paramenti». Per lui, in quasi tutti i campi, il cristianesimo era inferiore all’Islam: i musulmani coltivavano la purezza rituale, che importava poco ai cristiani: il digiuno cristiano era nullo rispetto al Ramadan: e quasi sempre percepiamo nella sua prosa, appena parla dell’Europa, chiamata Unrufa, un’ombra di compatimento e di disprezzo.
Tra i popoli europei, i musulmani conoscevano i Galiziani, i Baschi, gli Slavi, i Magiari e i Bulgari, i Russi, i Vichinghi, descritti in pagine spaventose come «adoratori del fuoco», i Longobardi, e specialmente i Franchi, «il più antico nemico di al-Andalus», la Spagna. Il nome Franchi venne adottato per tutti gli abitanti dell’Europa e delle isole britanniche. Il sole splendeva sugli abitanti d’Oriente, che ne derivavano i tratti maschili, la lunga vita, la memoria, l’arte del governo e, stranamente, la vanità. Il mondo islamico rappresentava il modello della civiltà: ricco, ordinato, illuminato, colto, protetto da Dio misericordioso.
L’Occidente veniva governato da un pianeta inferiore, la luna: era una zona di oscurità e di freddo quasi perpetuo: la forza lontana del sole si indeboliva e si infiacchiva in Europa; e, per questo, i Franchi erano rozzi, stupidi e corpulenti, prossimi agli animali. Facevano il bagno solo una volta l’anno: non lavavano mai i vestiti; e questa sporcizia feriva i musulmani, che avevano ereditato dai Romani l’amore per la pulizia. «Malgrado il freddo, la regione dei Franchi era ricca di cereali, frutta e altre culture, corsi d’acqua, piante, greggi, alberi, miele e selvaggina». Erano così coraggiosi, che «non avrebbero mai preferito la fuga alla morte». Avevano due capitali: Parigi e Roma, «covo del loro grande tiranno, noto come Papa». Da Unrufa provenivano schiavi greci, franchi, longobardi, e pellicce, profumi, coralli.
In un bel libro pubblicato da Einaudi ( La conquista del Paradiso. Una storia islamica delle Crociate , traduzione di Chiara Veltri, Einaudi), Paul M. Cobb racconta le Crociate, come le conobbero i musulmani dall’XI al XIV secolo. Il cuore del libro è la realtà e il simbolo di Gerusalemme. Per i cristiani, tutto, a Gerusalemme, era sacro. Ogni angolo grondava di reliquie. In primo luogo, la Vera Croce: poi la pietra del Santo Sepolcro, le ciocche di capelli della Vergine, il sangue di Cristo, i peli della sua barba, la corona di spine, la lancia che lo ferì al costato, i ciottoli raccolti nell’orto del Getsemani, le foglie d’ulivo del Monte, l’olio delle lampade del Santo Sepolcro. Queste reliquie sacralizzavano i luoghi, rendendo Gerusalemme il doppio del cielo. Per i musulmani, era la più santa delle città dopo la Mecca. Nel giorno del giudizio, la Mecca, la Ka’ba e la Pietra Nera, col suo piccolo punto brillante, avrebbero abbandonato l’Arabia, discendendo lentamente vicino a Gerusalemme, al-Quds. Anche il Paradiso si sarebbe spostato, così che per ebrei, cristiani e musulmani la terra avrebbe avuto un unico centro.
Le Crociate cristiane obbedirono a un vastissimo disegno. Nel 1061 i Normanni invasero la Sicilia: nel 1072 conquistarono Palermo e nel 1098 tutta la Sicilia, sebbene le forze musulmane fossero più numerose e meglio armate. Era il primo Stato «franco» ricavato nel corpo vivo dell’Islam. In al-Andalus, dopo il 1063 i cristiani conquistarono Barbastro: poi Toledo, Saragozza, Tudela, Lisbona, Lérida. «In quella regione — lamentò un cronista arabo — nessuno dei possedimenti musulmani scampò alla cattura da parte dei Franchi, a causa delle divergenze tra loro». L’ultimo re di al-Andalus fuggì in Marocco, e si stabilì a Fez, «lamentandosi per il destino infausto e piangendo il regno perduto».
Nel 1096 i Franchi giunsero in Anatolia, chiamati da Alessio Comneno, l’imperatore bizantino. Erano 75 mila, uomini e donne, ricchi e poveri, infiammati dalla predicazione del Papa. «La popolazione — scrisse un cronista di Damasco — fu colta da ansia, turbamento, terrore». Nel marzo 1098, Baldovino di Boulogne conquistò Edessa, creando il primo Stato cristiano nel Vicino Oriente. Il panico si diffuse: i confini un tempo inattaccabili della «casa dell’Islam» crollarono improvvisamente. Poi i crociati assalirono una città importantissima, Antiochia. Un musulmano, Firuz, propose a Boemondo di Taranto di consegnargli la città: organizzò un incontro con i capi franchi; calò nottetempo corde dalle mura, permettendo ai crociati di entrare in Antiochia. «Il numero di uomini, donne e bambini, uccisi, fatti prigionieri e schiavi, è incalcolabile», scrisse un cronista arabo.
Il 7 giugno i Franchi giunsero vicino a Gerusalemme, da poco conquistata dai Fatimidi d’Egitto. La città aveva vivaci bazar, molti santuari, un buon ospedale, mura robuste, una sorgente d’acqua. Il 15 luglio i crociati giunsero sotto le mura. Era — dissero — lo stesso momento nel quale «Gesù Cristo Nostro Signore accettò di subire per noi il tormento della Croce». Per qualche ora essi attesero, piangendo di commozione e di gioia: da lontano il Tempio mandava luce; finché lo spettro di un soldato sconosciuto, raccontò una cronaca provenzale, apparve sul Monte degli Ulivi, incoraggiando i crociati.
Un gruppo di Franchi, guidati da Tancredi d’Altavilla, prese il Monte del tempio: la Moschea al-Aqsa (che i Franchi identificavano col Tempio di Salomone), e il magnifico santuario della Cupola della Roccia, centro spirituale della Gerusalemme islamica. I crociati portarono via i candelabri d’oro e d’argento, come le legioni romane avevano profanato il tempio. «Ciò che è giusto — lamentava un poeta arabo — ora è vuoto e senza valore, e ciò che è proibito è reso lecito. La croce è stata collocata nel mihrab. Adesso sarebbe giusto ricoprirla di sangue di maiale». Sebbene facesse inorridire gli Arabi, la caduta di Gerusalemme fu soprattutto una sventura locale, che richiedeva reazioni locali.
I musulmani cominciarono a parlare di jihad: mentre le Crociate cercavano di recuperare una terra sacra, il jihad mirava a salvare le anime; era «uno sforzo sulla strada di Dio». Malgrado i discorsi e le invocazioni, un predicatore, paragonando lo spirito attuale del jihad con quello precedente, lo giudicava povero. Ciò aveva spinto Dio a dividere i musulmani e a indurre i cristiani «a strappare loro la terra»: le conquiste franche erano una punizione di Dio per i suoi fedeli. Gli arabi obbedirono al jihad in maniera molto saltuaria: la guerra santa nuoceva al commercio e agli affari. I comandanti musulmani collaborarono con i Franchi, spesso aiutandoli a combattere contro altri signori arabi. Nel settembre 1108, le truppe del signore franco di Antiochia marciarono accanto a quelle musulmane del signore di Aleppo, schierate in battaglia contro il signore egualmente musulmano di Mossul. Le truppe arabe erano ombreggiate dagli stendardi cristiani: ciò suscitò l’indignazione di molti fedeli.
Malgrado le battaglie intermittenti, i Franchi si abituarono presto a vivere in Siria e in Palestina. Amavano gli strani uccelli d’Oriente, e i corpi leggeri e dorati degli arabi e delle arabe, che li attrassero, forse, più delle robuste donne del Nord. Sposarono siriane, armene, palestinesi. Secondo un viaggiatore islamico, Ibn Jubayr, trattavano i contadini molto meglio di quanto non li avessero trattati i padroni musulmani. Costruivano case ricche: con tappeti e tappezzerie damascate: tavole e scrigni elegantemente intagliati e intarsiati, lini bianchi immacolati, servizi d’oro e d’argento, porcellane cinesi. Portavano abiti orientali: il burnus di seta, il kefieh sull’elmo; le donne indossavano il velo e la giacca corta, ricamata da fili d’oro e con pietre preziose. Impararono a fare il bagno, consolando le narici una volta disgustate degli Arabi. Ornavano di mosaici le loro case. La Palestina franca assomigliò stranamente alla Grecia e alla Roma ellenistica.
I Franchi non dimenticarono di vivere nei luoghi della Bibbia: nei colori e nei profumi, nelle montagne e nel verde dei paesaggi sacri. Tutto era Bibbia: Bibbia ebraica, cristiana, musulmana, fuse in un paesaggio solo. C’era il luogo dove Pietro aveva tradito tre volte Gesù: la pietra dove era caduta una goccia del latte di Maria che allattava Gesù; e il calice verde dell’ultima cena.
Nel 1174 due bambini salirono sul trono. Tra gli Arabi, l’undicenne al-Salih Ismail: Baldovino IV diventò re di Gerusalemme all’età di tredici anni, sotto la reggenza di Raimondo di Tolosa. Baldovino era bellissimo e intelligente: aveva una solida memoria, leggeva con passione, amava le conversazioni eleganti, cavalcava con grazia. Ma, un giorno, il suo istitutore, lo storico Guglielmo di Tiro, si accorse che il giovane re era lebbroso. Giorno dopo giorno la malattia peggiorò, colpendo soprattutto il volto, le braccia e le gambe. Baldovino perse la vista, braccia e gambe caddero in putrefazione, le mani non afferravano nemmeno un foglio di carta, i piedi non lo reggevano: ma egli rifiutò di abbandonare la dignità regale, continuando a svolgere i propri compiti, e dissimulando la sua debolezza.
Quando il Saladino invase il fragile regno franco, Baldovino chiamò alle armi tutte le proprie truppe e i Templari; e ingaggiò battaglia. Mentre i combattenti saraceni erano 26 mila, i latini erano soltanto 365. Baldovino era portato a braccia in prima fila: davanti a lui il vescovo di Betlemme innalzava il «Legno miracoloso della vivifica Croce», incastonato in una teca d’oro. Per una volta, il Saladino, così cauto e prudente, peccò di presunzione: lasciò che le sue truppe saccheggiassero le campagne: mentre i cavalieri franchi massacrarono i suoi uomini; ed egli fu salvato dalle guardie del corpo. Baldovino pensò di aver vinto grazie alla Vera Croce: quel legno che aveva attraversato indenne più di dieci secoli.
La storia del Medio Oriente mutò corso con l’avvento del Saladino. Era stato un semplice soldato curdo; e diventò il capo più autorevole della Siria e della Palestina. Secondo la realtà e sopratutto la tradizione, era il re giusto: generoso con i nemici, protettore della fede; la protesse troppo, se fece uccidere, come è probabile, Shihaboddin Yahya Sohrawardi, uno dei massimi filosofi e narratori di ogni tempo. Possedeva la qualità del dono: la generosità senza fine e senza misura, che imitava la sovrana magnificenza di Dio.
Il 3 ottobre 1187 riconquistò Gerusalemme. Secondo la tradizione islamica, era lo stesso giorno in cui Maometto era salito al cielo sulla sua cavalcatura alata, muovendo dalla città. Sulla Cupola della Roccia islamica, i cristiani avevano innalzato una grande croce dorata: i soldati musulmani si arrampicarono in cima alla cupola; legarono la croce con delle funi, e la gettarono al suolo. In quel momento tutti i soldati musulmani gridarono «Dio è grande», mentre i cristiani piansero di dolore e di costernazione. Saladino purificò Gerusalemme. Lavorava tutti i giorni insieme ai suoi soldati: lavava con acqua di rose i cortili e i pavimenti delle moschee, che i cristiani avevano trasformato in chiese. Fu generoso. Lasciò che il patriarca di Gerusalemme fuggisse insieme al tesoro del Santo Sepolcro. Il primo venerdì fu l’apice della celebrazione. Muby ad-Din elogiò il Saladino: «Dio sia lodato, perché con il tuo aiuto l’Islam è stato esaltato, e con il tuo potere il politeismo è stato umiliato». Egli invocò il soccorso di Dio su di lui: «Sulla tua spada tagliente, sulla tua torcia luminosa».
Nel 1265 gli arabi conquistarono Cesarea, Haifa, la fortezza templare di Safad, Giaffa. Tre anni dopo, cadde Antiochia. Il comandante islamico scrisse a Boemondo di Tripoli. «Se tu avessi visto i tuoi cavalieri prostrati sotto le zampe dei cavalli, le tue case prese d’assalto dai saccheggiatori e dai predoni, le tue ricchezze pesate a quintali, le tue dame vendute a quattro per volta e comprate al prezzo di un dinàr! Se tu avessi visto le tue chiese con le croci spezzate, i fogli dei falsi Vangeli sparpagliati! Se tu avessi visto il tuo nemico Musulmano calpestare il luogo della messa, e sgozzati sull’altare monaci e preti e diaconi, allora avresti detto: “Oh, foss’io polvere!”».
Il 18 maggio 1289 il sultano al-Ashraf ordinò a trecento tamburini di dare il segnale per l’offensiva finale contro Acri, l’ultima città franca. Mentre il suono dei tamburi accompagnava la caduta della città nella luce del mattino, una pioggia di frecce liberò le mura dai difensori franchi. Tre giorni dopo i Templari si arresero. Il giorno stesso piccioni viaggiatori portarono la notizia della caduta di Acri a Damasco. La città esplose di tripudio. Al-Ashraf visitò Damasco coperto di gloria. La città era decorata e illuminata: il sultano camminò su tappeti di raso fino al palazzo. Fece sfilare davanti a sé 280 prigionieri franchi in catene: uno di essi trasportava una bandiera cristiana capovolta; un altro un vessillo ornato di scalpi. Studiosi, mistici, contadini, mercanti, cristiani assistettero allo spettacolo. Un cronista arabo scrisse: «Grazie al Signore e Sultano al-Ashraf siamo liberi dalla Trinità, e l’Unicità si rallegra di questa vittoria!». La facciata gotica di una chiesa di Acri venne risparmiata: il suo ingresso finemente istoriato e con sottili colonne fu trasportato al Cairo, dove ancor oggi costituisce la porta della madrasa del sultano al-Nasir Muhammad.
Dopo il 1291, Cipro diventò l’avamposto franco più avanzato. Vi si erano installati gli ultimi re di Gerusalemme, i Lusignano, che di lì controllavano le città costiere del Levante. Più di una volta accarezzarono il progetto di riconquistare la Terra Santa. Nel 1370 il re ratificò un trattato di pace con l’Egitto. I genovesi invasero l’isola nel 1374, costringendo i Lusignano a pagare un tributo. Nel 1489, l’ultimo re abdicò a favore di un ammiraglio veneziano.