sabato 28 maggio 2016

Repubblica 28.5.16
L’amore ai tempi di Sant’Agostino
risponde Corrado Augias

GENTILE Corrado Augias, il clero è costituito da persone che hanno scelto uno stile di vita diverso. A parte escludersi da gran parte delle comuni attività lavorative per dedicarsi al culto divino, non si sposano e non partecipano alla continuità della specie attraverso la riproduzione. Sono libere scelte, che nessuno contesta pur essendo relativamente anomale in una comunità umana attiva. Il clero però si sente legittimato a dettare regole per la società nella quale vive, con particolare severità e insistenza proprio su matrimonio e riproduzione. Per esempio i matrimoni omosessuali. Per la religione cattolica il matrimonio è un sacramento, ma per un laico è solo la registrazione pubblica di un rapporto. La società, riconoscendolo, stabilisce vantaggi e vincoli, per esempio la pensione di reversibilità, l’affidamento, l’asilo per i figli, l’eredità. Da un’unione omosessuale non nascono figli, ma non è il matrimonio a modificare in meglio o in peggio il limite di tale unione. È una sterilità come quella di chi si è votato al celibato. Non dovrebbe riguardare il clero il modo in cui la società decide di regolare la convivenza tra due persone. È la società che deve valutarne i pro e i contro e le motivazioni.
Franco Ajmar — Genova
LA RAGIONE sottostante a certi atteggiamenti da parte di uomini che non ne avrebbero in apparenza titolo, viene da molto lontano. Nella sua versione più antica la si vede nel famoso precetto di Sant’Agostino:
dilige et quod vis fac — cioè: ama e fai ciò che vuoi. Che significato ha amare nel senso usato dal primo, grande filosofo cristiano (354-430)? Con forte slancio poetico, un giorno Agostino disse ai suoi fedeli: «Ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene». Non c’è film o sceneggiato sul vescovo di Ippona in cui questa poetica esortazione non venga mostrata. In realtà quei versi sono molto meno benevoli di quanto la parola amore li faccia apparire; il santo vescovo dice in sostanza che l’amore giustifica anche l’esercizio dell’autorità. Amare davvero qualcuno vuol dire volere il suo bene, il bene sommo, rappresentato dall’eterna salvezza. Lecito quindi, anzi doveroso, forzare per amore chi sbaglia a entrare nell’ortodossia; anche qui abbiamo un imperativo celebre “Compelle entrare”. Ancora più esplicito diventa l’invito quando Agostino chiarisce in cosa consista l’esercizio della carità: «Sia fervida la carità nel correggere, nell’emendare… Non voler amare l’errore nell’uomo, ma l’uomo; Dio infatti fece l’uomo, l’uomo invece fece l’errore. Ama ciò che fece Dio, non amare ciò che fece l’uomo stesso… Anche se qualche volta ti mostri crudele, ciò avvenga per il desiderio di correggere ». Quando dice che la carità «infierisce», Agostino usa il verbo latino saevire che vuol dire infuriare, incrudelire.
Saevus significa feroce; da saevire deriva “sevizia”. Il termine carità può avere questa valenza ambigua. Si sarà notato che papa Francesco ne usa uno più mite: misericordia.