giovedì 12 maggio 2016

Repubblica 12.5.16
Daniel J. Benjamin, Coordinatore dell’indagine Usa
“Dal reddito al coraggio anche l’economia è scritta nei cromosomi”
intervista di Luca Fraioli

L’INTERVISTA / DANIEL J. BENJAMIN, COORDINATORE DELL’INDAGINE USA
BENVENUTI nel regno della geno- economia: un edificio di tre piani in mattoncini rossi nel campus della University of Southern California. Qui, nel Centro per le ricerche economiche e sociali, a meno di un chilometro dal Los Angeles Memorial Coliseum, lavora Daniel J. Benjamin. Professore associato dell’università californiana, Benjamin ha fondato, insieme a un altro giovanissimo economista che insegna a New York, David Cesarini, e all’olandese Philipp Koellinger, un consorzio di ricercatori interessati al rapporto tra il nostro patrimonio genetico e quello che poi facciamo nella società. Ed è proprio il Social science genetic association consortium (Ssgac) ad aver coordinato il gigantesco studio su Dna e livello di istruzione appena pubblicato da Nature.
Professor Benjamin, lei si definisce un geno-economista. Cosa significa?
«Che sono un economista, ma che per i miei studi uso dati relativi al genoma umano».
Quando ha deciso di occuparsi di geno- economia?
«Inizialmente ero appassionato di psicologia, merito del mio maestro di scacchi alla high-school, che era anche professore di psicologia. Poi al college ho scelto economia e ho avuto la fortuna di essere tra gli studenti di David Laibson, che oggi insegna ad Harvard ed è tra i massimi esperti di economia comportamentale. Proprio con lui nel 2001 partecipammo ad un convegno sulla neuroeconomia: come la struttura cerebrale influenza le decisioni. Era una disciplina agli esordi, ma noi ci chiedemmo: come si può andare oltre? E la risposta fu: più fondamentale del cervello ci sono solo i geni. Certo, allora mancavano i dati ma ora ne abbiamo a sufficienza e sono sicuro che nei prossimi dieci anni questo approccio cambierà il nostro modo di lavorare».
Ci fa un esempio?
«Supponiamo che gli economisti vogliano studiare quanto è efficace fornire un servizio gratuito di prescuola a bambini svantaggiati. Di solito queste ricerche sono molto costose e si conducono su campioni molto piccoli, ma proprio per questo sono poco significative dal punto di vista statistico.
Soprattutto non possono tener conto di quanto pesano i fattori ereditari nella performance scolastica. Ora abbiamo a disposizione uno strumento che permette di “rimuovere” statisticamente la componente genetica ».
Quali altre sono le variabili sociali che possono essere studiate dal punto di vista genetico?
«Tutti quegli aspetti del comportamento che sono, almeno in parte, ereditari.
Per esempio le capacità cognitive o alcuni tratti della personalità (come la determinazione o la perseveranza) sono eriditari e quindi ci sono fattori genetici che possono essere studiati. Naturalmente, va sottolineato che i fattori ambientali sono importanti almeno quanto quelli genetici».
Perché nello studio appena pubblicato avete scelto proprio il livello d’istruzione?
«Perché in questo modo abbiamo potuto allargare il campione preso in considerazione fino a 300mila individui. La maggior parte delle ricerche genetiche, insieme al Dna dei partecipanti, archivia anche il loro titolo di studio. Sarebbe stato molto più difficile, per esempio, studiare il rapporto tra geni e “determinazione”, perché questo dato è disponibile sono per un numero assai limitato di persone. Inoltre, il livello di istruzione è una variabile molto importante sia per le scienze sociali che per la medicina, perché è correlata al reddito, al tipo di occupazione, alla salute, all’aspettativa di vita».
Ci sono altre variabili sociali delle quali avete già dimostrato l’”origine” genetica?
«A metà aprile abbiamo pubblicato un’altra ricerca su Nature Genetics che dimostrava la correlazione tra geni e benessere individuale, depressione e nevrosi. Ora invece è in corso uno studio relativo alla fertilità e alla predisposizione ad assumersi dei rischi».
Questo vuol dire che si può predire alla nascita se un individuo avrà un cattivo rendimento scolastico o se sarà depresso?
«Assolutamente no. Perché il ruolo dell’ambiente è fondamentale. In tutt’altro campo, più dell’80% delle differenze nelle altezze degli individui è di origine genetica, ma l’attuale generazione è molto più alta delle precedenti grazie alla diversa alimentazione. Gli studi di geno-economia non dicono nulla sui singoli individui, ci danno uno strumento per capire come i geni influenzano i comportamenti sociali».
Ma non c’è comunque il rischio che questo tipo di ricerche portino a qualche forma di discriminazione nei confronti di chi è portatore di certe varianti genetiche, per esempio quelle legate al livello d’istruzione o al benessere individuale?
«C’è sempre il rischio che un risultato scientifico possa essere intepretato male. Ma io non penso che ci si debba astenere dal fare ricerca per non correre questo rischio. Tuttavia chi studia il rapporto tra geni e variabili sociali deve farlo con trasparenza ed etica, proprio per evitare fraintendimenti».