Corriere 11.5.16
Passo indietro di Nirenstein Non sarà ambasciatore «Grazie Israele, ma rinuncio»
La decisione «per motivi personali» dopo lunghe polemiche
di Davide Frattini
GERUSALEMME
«Amo tanto anche l’Italia, il mio Paese natale, ma penso che combattere
contro la diffamazione di Israele e per l’esaltazione del suo magnifico
attaccamento alla democrazia, benché circondato da nemici, sia il
compito primario di ogni ebreo», ripeteva esaltata Fiamma Nirenstein. Il
primo ministro Benjamin Netanyahu l’aveva da poche ore designata
ambasciatrice a Roma.
Da allora sono passati dieci mesi e le
parole che hanno contato di più — sembra — sono invece quelle che aveva
scritto da giornalista nel 1996: un profilo di Sara Netanyahu ai tempi
del primo mandato del marito al governo, intitolato «Un mostro vestito
da first lady». L’articolo è stato ritirato fuori in Israele tre
settimane fa da Haaretz e adesso il quotidiano attribuisce alla
rivelazione la decisione finale di rinunciare alla candidatura.
Nel
pomeriggio di ieri Nirenstein ha avuto un lungo colloquio a Gerusalemme
con Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri. Poi ha
spiegato la scelta in un comunicato ufficiale: «Ringrazio il primo
ministro per la sua fiducia in me. Voglio esprimere la volontà di
continuare a contribuire allo Stato di Israele al meglio delle mie
possibilità».
Le ragioni sono «personali» come ribadiscono i
consiglieri di Netanyahu all’agenzia Ansa . Il primo ministro israeliano
non ha cambiato idea e tantomeno la causa sarebbe l’articolo ripescato
da Haaretz : «Il premier non ha ritirato il suo appoggio alla
candidatura». L’unica motivazione pubblica resta quel «personali».
Già
deputata del Popolo della libertà e vicepresidente della commissione
Esteri della Camera, Fiamma Nirenstein ha anche la cittadinanza
israeliana (presa nel maggio del 2013). Nel sceglierla come
ambasciatrice Netanyahu ha spiegato di aver apprezzato le campagne con
l’associazione Amici europei di Israele e l’essere stata la fondatrice
di Iniziativa amici di Israele: «Sono convinto che porterà con sé nel
ruolo — aveva detto nell’agosto dell’anno scorso — la sua considerevole
esperienza politica e diplomatica e avrà successo nell’approfondire le
relazioni tra il nostro Paese e l’Italia».
Il giornalista Barak
Ravid ha seguito il percorso che avrebbe dovuto portare alla nomina e ha
raccolto su Haaretz le indiscrezioni e le perplessità di chi era
contrario. Anche dall’Italia: un mese fa aveva rivelato di un messaggio
inviato dal premier Matteo Renzi — smentito da Palazzo Chigi e dal
governo israeliano — per chiedere a Netanyahu di ripensarci. A Roma le
obiezioni sarebbero state sollevate dal ministero degli Esteri e da
quello della Difesa. Quella del quotidiano liberal israeliano è sembrata
una campagna per ottenere la revoca della candidatura di Nirenstein,
ripresentare l’articolo su Sara Netanyahu era stato l’ultimo colpo.
In
questi mesi le scelte di Netanyahu per i nuovi ambasciatori hanno
incontrato ostacoli, anche perché il primo ministro ha imposto nomi
politici al di fuori dei diplomatici di carriera.
Il governo
brasiliano ha rifiutato le credenziali a Dani Dayan, già capo di Yesha,
il movimento dei coloni. Da Brasilia è stato dirottato sul consolato a
New York, dove è riuscito a inimicarsi in poco tempo J Street,
un’organizzazione lobbista che vuole rappresentare gli ebrei americani
di sinistra, accusandola di sostenere per la Casa Bianca «tutti i
candidati anti-israeliani». Ancora meno diplomatico è Danny Danon,
incaricato di rappresentare Israele alle Nazioni Unite: prima di
arrivare al Palazzo di Vetro guidava nel Likud l’ala ultranazionalista,
contraria a un accordo con i palestinesi e favorevole all’annessione
della Cisgiordania.