mercoledì 11 maggio 2016

Corriere 11.5.16
Il rischio di scaricare sul Paese le liti nel Pd
di Massimo Franco

La strategia è tracciata. Si affida al trinomio «Renzi- popolo-Sì», contro quello «avversari-politica politicante-No». Si tratta di una contrapposizione semplice, efficace, con venature plebiscitarie. Ma probabilmente è l’unica con la quale il premier e il suo Pd pensano di vincere il referendum di ottobre sulle riforme costituzionali. Ecco lo schema: il vertice del governo che addita il resto dei partiti come indistinti difensori dello status quo; e che denuncia il passatismo di chi boccia il nuovo Senato.
Insomma, il «bene» di Matteo Renzi contro il «male» di chi spera in una sua sconfitta in Amministrative e referendum per scalzarlo. Gli appelli a non personalizzare lo scontro sono dunque caduti nel vuoto. E forse non poteva essere diversamente. Troppe resistenze tra i costituzionalisti, che temono un sistema sbilanciato e di fatto inceppato più di quanto sia adesso. Troppi calcoli del «cartello del No» nelle altre forze politiche. E soprattutto, troppi silenzi e troppi dissensi nel Pd.
Di nuovo, sono la fronda e le tensioni nel maggior partito di governo a rendere anche l’appuntamento referendario più drammatico e tossico. La sinistra scarica per l’ennesima volta i suoi contrasti interni sul Paese. L’idea della mobilitazione generale del Pd voluta da Renzi; le accuse del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi a chi vota «No» di fare come gli estremisti di destra di CasaPound; il nervosismo per la controversa voglia di dire la propria da parte di alcuni settori della magistratura; la conferma che se le riforme fossero bocciate Renzi si ritirerebbe: si tratta di frammenti coerenti di un’operazione nella quale il governo si gioca tutto.
Ed è pronto a tutto per vincere. Da questa partita «dipende il futuro del Paese», avverte il premier citando l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Dopo cinque mesi di «dialogo intenso con i cittadini», alla fine si vedrà «chi sta con il popolo e chi nuota nell’acquario della politica politicante». Il suo messaggio è che «basta un Sì, e ridurremo il numero dei politici, taglieremo i poteri delle Regioni e gli stipendi dei consiglieri regionali, eviteremo il pingpong parlamentare». «Basta un Sì»: è questa la frase magica. È l’assaggio di una propaganda che si preannuncia martellante, e non prevede né distinguo né adesioni tiepide.
Quando Renzi chiede al Pd di raccogliere firme di fatto inutili, perché il referendum è già in marcia dopo quelle dei parlamentari, lo fa per costringere tutti a schierarsi, accantonando le resistenze sul piano dei toni e degli stessi contenuti della riforma. Si indovina una sorta di resa dei conti tra i dem, esasperata dalla posta in palio e dal timore del voto nelle grandi città. E, sebbene il premier si senta e appaia nettamente in vantaggio, in cinque mesi possono accadere molte cose. E commettere errori: da una parte e dall’altra.