Repubblica 16.2.16
IL PUNTO
le debolezze parallele per il Campidoglio
di Stefano Folli
A
ROMA, città devastata che guarda con curiosità alle prossime elezioni, i
sondaggi più recenti indicano una sostanziale parità fra il Pd e i
Cinque Stelle. Ma questo non significa che siano già decisi i due
blocchi destinati al ballottaggio. La contesa per il Campidoglio è più
complicata di come appare e le sorprese non mancheranno. Quel che si può
dire è che al momento i contendenti in campo hanno messo in mostra
soprattutto le loro debolezze e le loro paure. Tanto che un navigatore
del web ha scritto, fra il serio e il faceto: “sembra che a Roma l’unico
desideroso di vincere sia Marchini”.
Non è proprio così,
naturalmente, tuttavia il quadro è confuso come mai in passato e il
centrista Marchini, finora solo quarto nei sondaggi dopo grillini,
centrosinistra e centrodestra, ha la possibilità di risalire la china in
quanto plausibile beneficiario dei limiti e della scarsa credibilità
degli altri schieramenti. Del resto, ognuno ha le sue spine nel fianco.
Il centrodestra ha un candidato, Bertolaso, che sta suscitando forti
perplessità nello stesso campo berlusconiano allargato. L’anziano
leader, peraltro, ha imposto la sua volontà agli alleati, ma sembra il
primo a non credere alle possibilità dell’ex signore della Protezione
civile.
Il dato singolare è che l’uomo di Berlusconi, da un lato, e
quello di Renzi, ossia Giachetti, dall’altro, dovranno fronteggiare sul
piano elettorale un problema identico e speculare: la spina nel fianco
al primo turno di candidature di disturbo concepite per tagliare loro le
gambe. Bertolaso avrà alla sua destra Storace, il cui piccolo partito
conta poco sul piano nazionale, ma a Roma dispone di un discreto
patrimonio di voti. Tutti sottratti alla già precaria navicella su cui
si sono imbarcati Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega.
A
sinistra avremo le primarie che potrebbero non essere un picnic per il
proconsole di Renzi. Il quale è noto come persona seria e concreta, ma
il suo principale rivale, Morassut, la cui discesa in campo è tutto
tranne che meramente simbolica, non è da meno: purtroppo per loro,
entrambi pagano un prezzo al dissesto politico che ha messo a terra la
capitale. Tuttavia, nell’ipotesi tutto sommato realistica che Giachetti
la spunti sul rivale, il candidato del Pd dovrà mettere nel conto di
perdere voti alla sua sinistra. La candidatura di Fassina e in aggiunta
il ruolo che si ritaglierà l’ex sindaco Ignazio Marino sono altrettanti
colpi di scimitarra contro l’operazione renziana. Marino vuole
vendicarsi e costringere il Pd alla resa; Fassina, più politico, vuole
indurre il premier- segretario a correggere la sua linea e a trattare
con i gruppi di minoranza.
L’effetto finale non cambia. Storace a
destra, Fassina e Marino a sinistra: l’uno e gli altri rendono meno
prevedibile il percorso dei due schieramenti e ne mettono in luce le
contraddizioni interne. È la conseguenza inevitabile dei lunghi anni di
malgoverno della città, un’onda lunga che travolge i normali criteri
della campagna elettorale. A vantaggio dei Cinque Stelle? Questo è tutto
da vedere. Mesi fa il movimento grillino sembrava inarrestabile e
destinato a un facile trionfo. Oggi il profilo del favorito è corroso da
molti fattori, ma da uno in particolare: non saper ancora scegliere un
candidato idoneo e capace di parlare alla città. Una città talmente
esasperata da aver bisogno di credere in fretta a qualcuno e qualcosa.
Il
M5S traccheggia, avendo avviato una complicata procedura per scegliere
un nome che sarà comunque poco conosciuto, con un’immagine da costruire e
un programma da spiegare. Il meno che si possa dire è che oggi, a metà
febbraio, il movimento di Grillo non sta sfruttando le difficoltà di
Renzi e Berlusconi. Anzi, la scena mediatica negli ultimi giorni è stata
occupata stabilmente dal Pd e dal centrodestra. Con i loro errori e le
loro incongruenze, certo. Ma l’assenza dal campo dei Cinque Stelle non è
un buon viatico per una campagna che sarà lunga e soprattutto dovrà
essere convincente.