Repubblica 12.2.16
Stato e tolleranza
A scuola di laicità
Il corso di “educazione morale e civica”, varato dopo “Charlie”, inizia dalla prima elementare
di Anais Ginori
“Prof,
perché non si può scherzare su Maometto?” “Perché i musulmani sono così
poco rispettati?” Viaggio in un liceo di Parigi che, dopo gli
attentati, ha introdotto le lezioni su religione
PARIGI
Quando deve spiegare ai suoi alunni cosa significa il termine
“laïcité”, Anne Doustaly procede al contrario. «Non è una guerra dello
Stato contro la religione, non è una forma di discriminazione dei
credenti». L’insegnante di storia e geografia comincia con togliere
benzina dal fuoco: il tema è ormai incandescente.
È martedì nel
liceo Charlemagne, quartiere Marais. Al secondo piano, si fa lezione di
laicità. La legge che stabilisce la separazione tra Stato e Chiesa
risale a più di un secolo fa ma il dibattito è tornato acceso sui banchi
di scuola. «Per molti ragazzi è un concetto ancora vago, spesso male
interpretato. Mi stupisco di quanto sia necessario fare pedagogia su
questo principio della République», racconta Doustaly.
Il corso di
“educazione morale e civica” è stato varato dal governo socialista dopo
gli attentati di Charlie Hebdo: un’ora a settimana dalla prima
elementare fino al Baccalauréat. Anche se il programma dell’insegnamento
è ampio - va dallo studio della Costituzione alla lotta contro il
bullismo e le dipendenze - il governo ha chiesto di concentrare le
lezioni sulla secolarizzazione, le ragioni storiche e le conseguenze
nella società di oggi in un momento in cui c’è un forte ritorno della
religione, non solo per via dell’estremismo islamico.
Secondo un
sondaggio realizzato su un campione di alunni delle medie solo il 38,8
per cento dei giovani è ateo, mentre la maggioranza si definisce
credente: 30,4 per cento cattolici, 25,5 musulmani, 1,7 protestanti e
l’1,6 ebrei. Dal 2004, quando è stata approvata la legge per bandire il
velo e altri simboli religiosi negli istituti, gli insegnanti si
ritrovano sempre più spesso di fronte all’ostilità di alcuni alunni. La
ministra dell’Istruzione Najat Vallaud-Belkacem ha annunciato che
nell’ultimo anno sono stati segnalati 150 incidenti legati al principio
di laicità, in aumento del 10 per cento. Certo rimane una proporzione
minima rispetto ai 12 milioni di alunni, ma è pur sempre una tendenza
nuova con cui il governo deve fare i conti.
Gli episodi più famosi
sono stati i ragazzi che non hanno voluto osservare il minuto di
silenzio nel giorno di lutto nazionale dopo gli attentati di gennaio.
Gli stessi giovani che hanno detto con orgoglio sui social network “ Je
ne suis pas Charlie”, prendendo le distanze da una satira che non ha
paura di essere blasfema.
Il liceo Charlemagne è nel cuore di
Parigi e le tensioni sono minori che in alcune scuole di banlieue. Ma
l’insegnante di storia ha aspettato lo stesso quindici giorni prima di
fare un dibattito in classe sugli attacchi terroristici, una prudenza
ripetuta anche dopo il 13 novembre. «Ho preferito lasciar decantare
l’emozione». Per aprire la discussione, ha mostrato una vignetta di
Plantu su Le Monde, poi dei ritagli di giornale. Anche Stephane Nissant,
insegnante di storia e geografia alle medie, ha usato i quotidiani per
suscitare il dibattito tra i ragazzi. La confusione tra religione,
fanatismo e “neutralità” dello Stato è grande. «Il nostro ruolo – spiega
Nissant – è dare ai giovani degli strumenti critici rispetto a quello
che sentono e vedono». Mai come nel 2015 la laicità è stata criticata,
strumentalizzata soprattutto all’estero, anche in Occidente, segno che
si tratta di un concetto ancora molto francese. «Gli inglesi non hanno
neppure la traduzione esatta del termine, esiste solo secolarizzazione »
osserva Nissant.
Il problema di slegare l’identità dalla
religione è un punto sensibile per gli adolescenti, continua
l’insegnante. «Non è un compito facile» riconosce il professore anche se
non vuole credere alle profezie dello scrittore Michel Houellebecq
secondo cui la “laicità è morta” perché meno seducente e di facile
consumo di un’idea sacra. «A noi spetta tenere questo principio
repubblicano vivo» continua Nissant.
Sui banchi sono posati i
manuali del corso che cominciano dalla Carta della laicità. Da due anni
insegnanti e genitori devono sottoscrivere questo elenco di principi che
garantiscono l’adesione a uno dei valori fondamentali della République.
«È il modo di garantire l’eguaglianza e a libertà di espressione » dice
un paragrafo della Carta. «Allora perché si può scherzare su Maometto e
non sugli ebrei?» ribatte Mohammed facendo riferimento alle battute
antisemite del comico Dieudonné. Anziché fornire subito una spiegazione,
l’insegnante chiede agli altri alunni di rispondere. Camille prende la
parola: «Sì, è così: i musulmani sono meno rispettati degli altri».
«Non
è vero – ribatte Matthieu – Charlie Hebdo fa delle vignette anche sul
Papa». L’insegnante lascia i ragazzi parlare senza dare la sua
posizione. «Non è il mio ruolo e comunque è meglio lasciare una
conclusione aperta in cui ognuno possa farsi la sua opinione».
La
Storia spesso aiuta a capire. Non a caso sono gli insegnanti che hanno
il compito di tramandare la memoria a dover condurre anche le lezioni di
laicità, approdo della democrazia francese dopo secoli di guerre e
conflitti. «La religione non è assolutamente tabù in classe » precisa
Doustaly che insegna le date chiave della nascita del giudaismo,
dell’Islam, la Riforma protestante.
Qualche settimana fa ha
mostrato vecchi libri illustrati della vita del Profeta in cui c’erano
disegni, a dimostrazione che non sempre è stato vietato fare ritratti di
Maometto. Gli eventi a cavallo della Rivoluzione del 1789 e poi
dell’approvazione francese della legge sulla laicità nel 1905 sono un
riferimento storico che può permettere di capire cosa stia succedendo
nel nostro tormentato presente. «Alla fine dell’Ottocento e all’inizio
del Novecento, molti cattolici francesi si sentivano aggrediti,
discriminati dallo Stato» ricorda Doustaly. La République allora era
alle prese con la comunità cattolica. Ci furono scontri, conflitti e
anni di tensione, eccessi da una parte e dall’altra. «Ora è una parte
dei musulmani a trovarsi in questa situazione. È una fase di adattamento
normale» osserva Doustaly. E per cercare di dare la migliore
definizione possibile c’è l’aiuto dell’etimologia. Laicità viene dal
greco, significa: «Popolo unito intorno a valori condivisi».