mercoledì 6 gennaio 2016

il manifesto 6.1.16
Spuntano le prove: l’Arabia saudita ha progettato il caos
Medio Oriente. In un documento dei servizi segreti sauditi si ammette la consapevolezza della destabilizzazione che sarebbe stata generata dalle esecuzioni. Il Kuwait ritira l'ambasciatore dall'Iran, l'Onu manda l'inviato per la Siria a Riyadh e Teheran
di Chiara Cruciati


Non si spegne lo scontro a distanza tra Teheran e Riyadh. Il casus belli resta il religioso Nimr al-Nimr, leader delle proteste sciite del 2011 e 2012, sfruttato a dovere dalle due potenze regionali. Sulla sua morte specula l’Iran, con cui il religioso non aveva né cercava contatti diretti, preferendo interrompere la corsa al massacro dei settarismi interni e fondando la sua lotta su questioni politiche ed economiche piuttosto che religiose.
E su di lui ha speculato anche il suo boia: secondo un documento redatto poche ore prima le esecuzioni dai servizi segreti sauditi e ottenuto dall’organizzazione britannica per i diritti umani Reprieve e dal The Independent, le autorità erano ben consapevoli degli effetti che quelle morti avrebbero provocato, tanto da cancellare tutti gli eventi pubblici previsti per l’inizio dell’anno. Ovvero, l’obiettivo dell’esecuzione di al-Nimr era una destabilizzazione politica.
Se il fine è palese, le sue conseguenze lo sono di meno: il gioco è scappato di mano al giocoliere. Riyadh non ne uscirà rafforzata come sperava, in un periodo di crisi economica e politica. Pochi giorni fa il governo ha reso pubblico il budget finale del 2015: un deficit da 98 miliardi di dollari, record negativo per la petromonarchia che fonda l’85% delle proprie entrate sulla vendita di greggio.
Non è un caso che la Provincia Orientale, la sola a maggioranza sciita, sia la più ricca di petrolio del paese: schiacciando le proteste guidate da al-Nimr non sono state schiacciate solo le aspirazioni democratiche della minoranza, ma soprattutto le sue ambizioni economiche. La testa del religioso è un messaggio a chiunque pensi di sollevarsi contro la dittatura saudita: non c’è spazio per le proteste, tantomeno quando la crisi è in casa.
Oggi le autorità saudite corrono ai ripari aumentando del 50% i prezzi interni di petrolio, acqua, elettricità. Ma sul fronte regionale si indebolisce: l’Iran – la cui attuale forza deriva dalla nuova legittimità di cui gode dopo l’accordo sul nucleare e per il ruolo diplomatico giocato in Siria – preferisce contrattaccare alla sospensione delle relazioni diplomatiche da parte di Riyadh con le parole. Il presidente Rowhani ieri è tornato a criticare l’avversario: l’Arabia saudita «non può nascondere il suo crimine, la decapitazione di un leader religioso, interrompendo le relazioni politiche con l’Iran».
Nel confronto sembrava fosse entrato anche uno dei pilastri dell’Islam, il pellegrinaggio alla Mecca, già ragione di scontro tra Iran e Arabia saudita a fine settembre, quando a Mina morirono oltre 2.400 fedeli. Ieri il capo dell’organizzazione iraniana del pellegrinaggio, Saeed Ohadi, ha chiarito: l’organizzazione del viaggio in Arabia saudita in occasione della festività dell’Hajj sarà direttamente gestita dal governo e le modalità della partecipazione iraniana saranno definite dal leader supremo, l’Ayatollah Khamenei. Il comunicato stampa è stato rilasciato dopo la notizia circolata online (e che aveva scatenato il web) di una presunta sospensione dei pellegrinaggi per i fedeli iraniani.
Si amplia intanto il fronte saudita: interviene anche il Kuwait che ieri ha annunciato il ritiro del proprio ambasciatore dall’Iran definendo gli assalti alle sedi diplomatiche «una grave violazione del diritto internazionale». Resta però a Kuwait Ciy l’ambasciatore iraniano. Fa un passo in più anche il Bahrein che, dopo aver interrotto lunedì le relazioni diplomatiche con Teheran, ieri ha sospeso i voli diretti.
Nello scontro tra Iran e Arabia saudita entrano anche le istituzioni internazionali. La Lega Araba terrà domenica al Cairo una riunione di emergenza dietro la richiesta di Riyadh di condannare le violazioni iraniane, ovvero gli assalti alle ambasciate della petromonarchia. E questo la Lega Araba, spesso burattino nelle mani della famiglia Saud, farà: secondo il vice segretario generale, Ahmed Bin Haly, «il meeting condannerà le interferenze iraniane negli affari interni dei paesi arabi». L’ennesimo doppio standard: a marzo la Lega Araba avallò senza remore l’operazione militare saudita contro lo Yemen, oggi al suo decimo mese di guerra.
Interviene anche l’Onu: se subito dopo le esecuzioni la segreteria generale aveva espresso «profondo sconcerto» per le uccisioni, lunedì il Consiglio di Sicurezza ha preferito l’ala confortevole dei sauditi limitandosi a condannare gli attacchi alle ambasciate in Iran ma senza fare menzioni dei 47 decapitati. Lunedì il segretario Ban Ki-moon ha mandato l’inviato Onu in Siria, Staffan de Mistura, ad incontrare i governi di Iran e Arabia saudita per trovare una via d’uscita diplomatica ad una crisi che rischia di far saltare il già traballante tavolo siriano. De Mistura è a Riyadh in questo momento e volerà a Teheran nei prossimi giorni.