il manifesto 15.1.16
Mario Tronti. Una battaglia «messianica»
«Il
nano e il manichino. La teologia come lingua della politica» di Mario
Tronti. Un pamphlet che raccoglie quattro lezioni tenute a Napoli,
ragionando su Schmitt, Benjamin e Edgar Allan Poe
di Francesco Marchianò
Cambiare
il corso della Storia: istruzioni per l’uso. Potrebbe chiamarsi così un
recente pamphlet di Mario Tronti pubblicato da Castelvecchi che
raccoglie quattro sue lezioni tenute presso l’Istituto per gli Studi
Filosofici di Napoli nel marzo del 2010. Certo, un titolo del genere
suonerebbe oltremodo ambizioso e presuntuoso, specialmente per un volume
di poche pagine, eppure è al fondo questo l’obiettivo politico e
intellettuale insieme di questo lavoro (Il nano e il manichino. La
teologia come lingua della politica, Castelvecchi, pp. 60, euro 7,50).
L’interrogativo,
va da sé, è come riuscire a cambiare la Storia, con quali strumenti,
con quali modalità. Perché ciò accada, occorre qualcosa che vada di
traverso al meccanismo negli avvenimenti e ne modifichi il corso. Ci
vuole, cioè, la politica che per Tronti «è un comportamento di pensiero e
di azione scorretto rispetto alla Storia: perché si contrappone ad
essa, non accetta il suo corso e si propone di deviarlo». Il problema è
che oggi si assiste a una forte crisi della politica, o per lo meno di
come si è sviluppata lungo tutto il corso del novecento, e per scrutare
meglio questa crisi e risolverla è necessario l’apporto che viene dalla
teologia politica, «indispensabile strumento ermeneutico del Novecento»,
sia come metodo per interpretare il potere, sia come strumento per
rovesciarlo.
Al centro di questo ragionamento ci sono tre autori,
Carl Schmitt, coniatore della teologia politica (al quale sono dedicate
due lezione), Walter Benjamin e Jacon Taubes. I loro contributi sul tema
sono intrecciati da Mario Tronti secondo uno schema ben preciso che
partendo dall’alto, cioè dalla teoria schmittiana, che esalta il sovrano
decisore e individua il potere come ordine, arriva alla teologia
politica dal basso, vista come strumento delle classi dominate per
liberarsi dal potere dei dominanti.
Il passaggio teorico più
importante è particolarmente influenzato dal Benjamin delle Tesi sul
concetto di storia. E non ha caso è proprio dalla prima tesi di Benjamin
che Tronti prende spunto per il titolo al volumetto, quando, ispirato
da un racconto di Edgar Allan Poe, il pensatore tedesco parla di un
automa che giocava a scacchi e aveva sempre la mossa giusta perché al
suo interno si celava un nano gobbo (la teologia) che ne manovrava il
funzionamento.
Tronti, che è stato tra i primi in Italia a leggere
da sinistra Schmitt, ne sintetizza il pensiero recuperando, come fa il
giurista tedesco, la lezione di De Maistre e ancor più Donoso Cortés. La
sua preoccupazione principale di fronte alla politica attuale è la
stessa che aveva Schmitt nei primi decenni del Novecento. Allora, con
parole quasi profetiche, Schmitt registrava la spoliticizzazione della
politica a causa dell’imporsi del pensiero tecnico-economico. Oggi, la
globalizzazione dei mercati, la finanziarizzazione dell’economia, la
vittoria del tecnico sul politico, ben sintetizzata dall’ideologia
dell’austerity, ripropongono le stesse problematiche e la stessa
esigenza della politica per risolvere la crisi.
Allora, di fronte
all’impotenza della Repubblica di Weimar, la soluzione fu trovata nel
grande decisore che Schmitt vide, per alcuni anni, nel partito nazista.
Oggi, invece, per Tronti, la soluzione va trovata altrove e certamente
non è sufficiente per la sua ricerca il materialismo storico che,
fondato anch’esso sull’importanza dell’economico, resta all’interno
dell’ordine costituito. Qui gli viene in aiuto Benjamin con la sua
visione messianica della Storia nella quale si apre la prospettiva di
una vittoria per gli oppressi. L’avvento del Messia, infatti, è un
elemento esterno alla Storia che ne scompagina le carte, che non
appartiene a essa, non è un suo fine, semmai ne determina la fine.
Il
Messia ha il compito di redimere chi è oppresso e, facendo ciò,
«disordina l’ordine degli oppressori». Per riuscire in questa impresa,
però, deve portare a termine un altro obiettivo: sconfiggere
l’Anticristo, cioè l’ordine costituito. Per questa ragione il messianico
porta con sé sempre l’elemento della lotta ed è, in quest’ottica, una
componente rivoluzionaria. Volendo, con prudenza, semplificare si
potrebbe dire che una rivoluzione che modifichi il corso degli eventi
non si fa da sé, per ragioni storiche, ma solo se interviene qualcosa di
esterno a compiere e guidare il mutamento.
Nelle pagine finali
del libro compare la teologia di Paolo di Tarso interpretata da Taubes
che per Tronti va collocato tra Schmitt e Benjamin. La lezione che viene
tratta è la seguente: «nell’attualità nemica, nel qui e ora, tutto in
mano agli oppressori, nel processo oggettivo della Storia che accompagna
e conferma l’oppressione, è necessario andare a trovare quel “volto
interno”, quel nocciolo irriducibile che testimonia, cioè che salva, la
libertà dei figli di Dio». Questa è la lezione declinata in senso
paolino. In senso politico, invece, ciò si traduce in una possibilità
rivoluzionaria che elimini l’oppressione e porti a compimento «il
progetto antico della liberazione».
Pur nella sua brevità, Il nano
e il manchino è un testo che richiede una buona dose di impegno da
parte del lettore. L’ampio spazio dato agli autori trattati, dei quali
sono citati molti brani, non impedisce di cogliere l’originalità
trontiana del volume nel quale la teologia politica è seguita come
un’ombra dal tema dell’autonomia del politico. Entrambe non dipendenti
dalle leggi della Storia e anzi orientate alla lotta contro di essa.