Corriere 6.1.16
Ricordo di Pietro Nenni, diplomazia di un socialista
risponde Sergio Romano
Le chiedo di ricordare l’onorevole Pietro Nenni, morto il 1° gennaio 1980. Parliamo di uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, poco ricordato e celebrato. La sua storia può far parte a pieno titolo del Partito democratico, tanto più oggi che il Pd è membro della grande famiglia europea dei socialisti e dei democratici. Sarebbe giusto e auspicabile che il Pd, oltre a riconoscere l’autorità politica e morale di Alcide De Gasperi ed Enrico Berlinguer, si identificasse in un grande padre della Patria e della Repubblica come Pietro Nenni magari ricordandolo in un convegno nazionale per esaminare la sua figura e la sua opera.
Giancarlo Lunghi
Caro Lunghi,
Anch’io credo che Nenni meriterebbe maggiore attenzione. Lo ricorderò rievocando un capitolo della sua vita politica su cui conservo qualche ricordo personale. Quando accettò di partecipare al governo di centrosinistra presieduto da Mariano Rumor, nel dicembre del 1968, Nenni volle il ministero degli Esteri. Aveva avuto lo stesso incarico per qualche mese nel governo De Gasperi del 1946, quando il suo partito professava una politica neutralista. E si era battuto in Parlamento per impedire l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico nella primavera del 1949. Ma la sua posizione, vent’anni dopo, era alquanto diversa. Aveva preso atto realisticamente del ruolo assunto dalla Democrazia cristiana nella politica italiana, aveva approfittato della rivoluzione ungherese e del rapporto di Kruscev contro Stalin, al XX congresso del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica), per rompere il patto «fraterno» con il Partito comunista italiano. Era giunto alla conclusione che soltanto la riunificazione socialista e un patto di governo con la componente più progressista della Democrazia cristiana avrebbero reso il miracolo economico meno «capitalista». Per evitare i possibili malumori americani, nel gennaio 1962, scrisse per Foreign Affairs , la autorevole rivista americana, un articolo intitolato «Where the Italian Socialists stand» (Quale è la posizione dei socialisti italiani) in cui si leggono tra l’altro le ragioni per cui il suo partito non aveva mai sollevato il problema di una eventuale uscita dell’ Italia dalla Nato: «Per due ragioni. In primo luogo perché una tale iniziativa ci avrebbe esposti all’accusa di demagogia. In secondo luogo perché il ritiro dall’Alleanza, nelle presenti circostanze, pregiudicherebbe un equilibrio europeo che, nonostante la sua pericolosa instabilità, contribuisce al mantenimento di una tregua fra i due opposti blocchi. Abbiamo cercato e stiamo cercando di andare oltre la politica dei blocchi e di renderli inutili, affinché le Nazioni Unite divengano il solo e permanente luogo d’incontro di tutti i popoli e di tutte le nazioni, dove ogni controversia internazionale possa venire affrontata e risolta».
Nenni non ignorava tuttavia che una tale linea, benché ragionevole e opportuna, non sarebbe bastata a soddisfare i suoi elettori e a placare i suoi critici. Occorreva un gesto da cui si potesse desumere che il socialismo italiano restava fedele ai tradizionali principi di una grande forza progressista. Questo gesto fu il riconoscimento italiano della Cina comunista di cui Nenni creò le condizioni all’inizio del 1969. Ma questo episodio, se i lettori lo vorranno, potrà essere raccontato in un’altra occasione.