Repubblica 20.12.15
Gilles Kepel
“Il Califfato pericolo universale il mondo fa bene ad agire unito”
intervista di Pietro Del Re
“NELLA guerra contro lo Stato islamico hanno prevalso finora le piccole rivalità tra i membri della coalizione che dovrebbe combatterlo, ma adesso il pericolo universale della jihad che grava sull’intero pianeta, dalla California all’Arabia saudita, sembra aver finalmente spinto la comunità internazionale a intervenire unita contro il Califfato». Il politologo francese ed esperto di mondo islamico Gilles Kepel si dice tuttavia scettico sui recenti accordi strategici contro le brigate nere «perché dal 2011 le promesse per risolvere il conflitto in Siria non sono mai state mantenute». Il suo ultimo saggio, “Terreur dans l’Hexagone” (Gallimard), uscito lunedì scorso e già best-seller nelle librerie d’Oltralpe è un’analisi sull’anno che sta per concludersi, annus horribilis per la Francia, «cominciato a gennaio con il massacro a
Charlie Hebdo,
proseguito con gli attacchi di venerdì 13 novembre e finito con 6,8 milioni di elettori che alle regionali di pochi giorni fa hanno votato per il Front National».
Professor Kepel, nel suo libro c’è un parallelismo tra i jihadisti e l’estrema destra. Si spieghi meglio.
«In realtà mi soffermo sugli elementi che condividono questi due movimenti, tra coloro che si sentono esclusi dalla società perché rigettano la globalizzazione o perché rifiutano la “miscredenza”. Entrambi vogliono costruire un mondo basato sull’estremizzazione di una funzione identitaria, sia essa nazionalista o religiosa. Quest’atteggiamento è comune sia alla galassia salafista che cerca una frattura con la società francese perché non crede più nella laicità e nella democrazia, sia a quei gruppi della destra radicale il cui obiettivo è di ritrovarsi in un mondo purgato dagli arabi».
Sembra suggerire che salafisti e frontisti approfittino gli uni degli altri.
«I video per il reclutamento francese della jihad, cliccati migliaia di volte sui social, hanno una sconvolgente somiglianza con le cassette della propaganda xenofoba. Non solo nel metodo ma anche nei contenuti. Basti citare il rigetto delle élite politiche, giudicate incapaci di gestire i problemi sociali del Paese».
La sua teoria ha scatenato le ire di Marine Le Pen la quale ha pubblicato sul suo sito foto delle decapitazioni dello Stato islamico, dicendo: “Questa è la jihad con cui noi non abbiamo nulla a che vedere”. Che cosa le risponde?
«Alla Le Pen dico che sono sempre disposto a dibattere con lei, a condizione che abbia letto il mio libro. Mi ha colpito l’isterismo politico dell’accaduto, con la leader del Front national accusata di aver diffuso foto che promuovo l’odio comunitario. Detto ciò, una volta stabilito il nesso tra gli attentati e il successo della destra radicale, bisognerà trovare la chiave per riformare la nostra società».
Come giudica la risposta di Hollande di intensificare i bombardamenti sulla Siria?
«Non ho un giudizio positivo sull’azione del governo, che ha sottovalutato il terrorismo di terza generazione, quello per il quale l’obiettivo della jihad non è più l’America, perché troppo lontana, ma l’Europa, ventre molle d’Occidente, dove far scoppiare una guerra civile usando la gioventù di origine nordafricana. Ora, vuoi per la diffusione dei social vuoi la realtà carceraria francese, autentico vivaio per i nostri jihadisti, i servizi non sono riusciti ad anticipare le mosse dei terroristi. Quanto ai bombardamenti sulla Siria, essi colpiscono molto al di là dell’obiettivo voluto».
Ma c’è una guerra in Medio Oriente.
«Sì, e quella va combattuta con i mezzi militari tradizionali. Ma in Francia, e più in generale in Europa, è un problema che riguarda la polizia e l’intelligence. Dobbiamo anche chiederci perché la nostra società è oggi così poco inclusiva. E perché c’è tanta discriminazione culturale, perché l’estrema destra è il primo partito francese e perché il radicalismo islamico si è tanto sviluppato nelle banlieue».
Che cosa fare per scongiurare questi attacchi?
«Nell’immediato è necessario infiltrare i gruppi salafisti per prevenire le loro malefatte. Poi però andranno trattate le cause del male, non solo i suoi sintomi. Le nostre forze di sicurezza non si sono ancora adeguate alle tecniche di guerre di quel jihadismo che parte dal basso e non dall’alto. Hanno perso troppo tempo, anche se da anni diversi islamologi hanno tracciato l’identikit del nuovo islamista. La Francia, il Paese più “arabo” d’Europa, è l’erede del suo impero coloniale, in gran parte nordafricano. Credo che non abbiamo ancora digerito la nostra storia comune. Anzi, l’abbiamo spesso rimossa».