Repubblica 18.12.15
Nazi-jihadisti e la vergogna degli elenchi contro gli ebrei
di Carlo Bonini
IN un micidiale cocktail di immondizia neonazista e antisemitismo “religioso” che si professa musulmano, in Rete torna ad affacciarsi l’infame lista di proscrizione degli “Ebrei influenti in Italia”, già pubblicata nel 2009 dal sito “Stormfront” (da tempo oscurato). Questa volta, sotto la testata “Radio Islam”, incubatore di istigazione all’odio razziale in 33 lingue fondato nel lontano 1996 da Ahmed Rami, ex ufficiale golpista dell’esercito marocchino riparato in Svezia.
OGGI come sei anni fa, in un medesimo format grafico, giornalisti, professori universitari, imprenditori, intellettuali, scrittori, vengono consegnati a una colonna infame in cui la stella gialla è aggiornata in un marchio digitale dalle lettere maiuscole e il color ruggine: “EBREO”. A dispetto di ogni decenza, verità e persino attendibilità. Non fosse altro perché, come stigmatizzato in un tweet da Gad Lerner (uno dei “marchiati”), che «a Radio Islam siano pure imbecilli, oltre che biechi» è dimostrato da una «lista zeppa di errori».
Affidata alle indagini delle nostre polizie, l’antiterrorismo e la postale, e della nostra intelligence interna, l’Aisi, della faccenda si verrà ragionevolmente a capo in tempi brevi. Magari per scoprire, come già accaduto in passato (sono state due le indagini che, nel novembre del 2012 e del 2013, hanno disarticolato con arresti e condanne la rete di “Stormfront” in Italia), che dietro l’anonimato della Rete si nasconde l’odio vigliacco di pochi, fedeli innanzitutto alla svastica e al ciarpame revisionista, oltre che a Maometto e alla Sharia.
E tuttavia, nel rigurgito di queste ore c’è un tratto che non deve essere lasciato cadere, né merita di essere sottovalutato. La sortita di “Radio Islam” arriva infatti due settimane dopo il post in Rete di un video di 14 minuti in cui le stragi di Parigi (130 morti), in un montaggio grottesco nella sua grossolana manipolazione della realtà, venivano declassate a «ridicola farsa» orchestrata da «coloro che hanno creato a tavolino prima Al Qaeda e poi l’Is». Il copyright, in quel caso, era stato del sito “La scienza del Corano” e del suo fondatore. Un altro marocchino. Tale Anass Abu Jaffar, ventisettenne a lungo residente nel bellunese, legato a foreign fighters partiti per la jihad in Siria, ed espulso nel maggio scorso dal nostro Paese per poi riparare a Casablanca. Un altro campione di antisemitismo (come si evince dai post del suo profilo Facebook) e dal significativo seguito di guardoni (100 mila follower).
È insomma l’effetto emulativo e seriale di una propaganda “nazi-islamista” (per dirla con le parole di Bernard-Henry Lévy) la questione che pone il velenoso ciarpame messo in circolo in queste settimane e già manifestatosi all’indomani di Charlie Hebdo. E non tanto, o non soltanto, per la potenziale capacità di contagio di quella propaganda su teste matte o fragili (pure non trascurabile). Ma per la sua oggettiva forza di provocazione e di moltiplicatore della barbarie delle parole (prima ancora che dei comportamenti), in ossequio a un’antica equazione per cui, appunto, “odio chiama odio”.
La posta in gioco, ancora una volta, è infatti la desertificazione di ogni spazio di tolleranza. In una logica in cui l’uso dell’antisemitismo diventa strumento “naturale” e “virale”, in Occidente, come nelle periferie mediorientali del Califfato, per annichilire la moderazione delle opinioni pubbliche cristiane e musulmane. Unico antidoto all’odio e dunque suo principale nemico. La “lista” di Radio Islam, i deliri della “Scienza del Corano”, sono benzina gettata su un falò che per bruciare ha continuamente bisogno di carburante. Che quando non è sangue è, appunto, il culto verbale dell’annientamento. Religioso o razziale che sia.