martedì 15 dicembre 2015

Repubblica 15.12.15
Jennifer Cooke, Centro studi strategici sull’Africa
“Ma la svolta è l’impegno di Xi per la sicurezza internazionale”
intervista di Arturo Zampaglione


NEW YORK LA nuova base militare a Gibuti non avrà soltanto compiti di sostegno logistico per le azioni anti-pirateria », ci dice Jennifer Cook. «Ma sarà di fatto il primo avamposto militare della Cina fuori dal territorio nazionale a conferma della svolta nei rapporti di Pechino con l’Africa. Il presidente Xi Jinping punta adesso a una partnership strategica e a un impegno diretto sui temi della sicurezza dell’intero Continente». Direttrice del “Programma Africa” del Csis, il Centro studi strategici e internazionali di Washington, autore di una mezza dozzina di saggi, Cook viene regolarmente interpellata dal Pentagono e dal Congresso sull’espansione di Boko Haram e sui trend politici ed economici della regione.
La Cina ha sempre avuto una politica molto attiva nei confronti dell’Africa. Perché l’ultimo viaggio del presidente Xi rappresenta una svolta?
«Le relazioni della Cina con l’Africa hanno vissuto tre fasi: nella prima, durata circa fino al 2000, Pechino si limitava a valorizzare i legami ideologici tra regioni in via di sviluppo. Poi è cominciata una fase più pragmatica, incentrata sui rapporti commerciali e sulle massicce importazioni di materie prime, che ora per la verità rallentano. E adesso, a Johannesburg in occasione del Forum che ha presieduto, Xi Jinping ha aperto una terza fase: accantonando la vecchia tradizione di non interferenza negli affari interni di altri Paesi, la Cina sembra volersi impegnare sui problemi della sicurezza: ha mandato per la prima volta i suoi caschi blu nelle missioni Onu in Mali e Sud Sudan, e ora apre la base a Gibuti».
Non è preoccupata per questa espansione globale, di cui potrebbe far parte anche la costruzione delle basi nelle isole artificiali nel Mar cinese del sud? E che rischi ci sono per la presenza americana e occidentale in Africa?
«Mentre c’è una chiara concorrenza in Africa sui temi economici tra la Cina e l’Occidente, dal punto di vista della sicurezza Pechino condivide sostanzialmente gli obiettivi degli altri, in particolare per la lotta al terrorismo e per la stabilizzazione di aree di crisi.
Quindi non prevedo tensioni militari legate alla maggiore presenza sia dei cinesi sia del Pentagono, che, non dimentichiamoci, ha ormai una fitta rete di collaborazioni con le forze armate locali, in particolare nel Ciad, in Camerun e nel Niger. La sfida, semmai, sarà più di tipo politico: la Cina approfitterà del nuovo ruolo per allearsi con gli africani nel consiglio di sicurezza dell’Onu e in altre sedi della diplomazia internazionale».
Ritiene dunque che Pechino stia colmando un vuoto lasciato dagli Stati Uniti?
«Nei primi quattro anni di Casa Bianca Barack Obama è stato molto lento, ma poi si è mosso bene: promuovendo un summit, impostando la collaborazione militare, varando il programma “ Power Africa”.
E gli Stati Uniti hanno sempre avuto un approccio più “multidimensionale” rispetto a quello della Cina: nel senso che non hanno mai dimenticato né lo sviluppo, né tantomeno la difesa dei diritti umani».