La Stampa 9.12.15
Il Papa ai preti: perdonate l’aborto
Francesco concede la facoltà di assoluzione a tutti i sacerdoti per il Giubileo La storia di Beatrice: “Il perdono mi ha insegnato a convivere con la mia scelta”
di Giacomo Galeazzi
Una peculiarità di questo Giubileo è l’invio in ogni diocesi del mondo di 800 «missionari della misericordia», a cui il Papa dà la facoltà di perdonare i peccati riservati alla Sede apostolica. Ma Francesco ha fatto di più.
Per l’intero Anno Santo tutti i sacerdoti del mondo potranno perdonare anche il procurato aborto, peccato la cui assoluzione è riservata ai vescovi o a sacerdoti da loro delegati. Un segno per invitare al pentimento e alla richiesta di perdono, altro elemento-chiave del Giubileo. «Ho abortito a vent’anni e nella misericordia di Francesco mi sento accolta e perdonata», racconta Beatrice Fazi, 43 anni. «Mi ritrovai incinta e senza orientamenti, l’uomo da cui aspettavo un figlio mi abbandonò: non voleva assumersi la responsabilità di crescere un bambino - racconta -. Ero da poco arrivata a Roma da una città di provincia del sud dove è difficile confessare ai propri genitori una cosa simile, in un contesto nel quale partorire prima del matrimonio equivale a marchio di infamia e di esclusione sociale». Trauma profondo.
La vergogna
«Ero rimasta sola, provavo vergogna e non avevo nessuno che mi guidasse e mi indicasse una soluzione alternativa all’interruzione volontaria di gravidanza - aggiunge -. Da allora la scelta di abortire è rimasta una ferita lacerante, impossibile da rimarginare». Calvario raccontato nel libro-confessione “Un cuore nuovo”. Dopo 15 anni di buio, quando ormai tutto sembra perduto, ritrova se stessa attraverso la fede. Trascorsi burrascosi poi la conversione.
«Un giorno decisi di andare a confessarmi per superstizione e paura che un Dio vendicatore e giudice mi punisse o pretendesse qualcosa da me - spiega -. Buttai fuori tutti i miei peccati e il sacerdote non mi diede l’assoluzione, però mi disse che pur scomunicata e in condizione irregolare ero chiamata alla santità». Un macigno: quell’esperienza drammatica in giovinezza. L’aborto come «segreto tenuto nel cassetto per anni perché non riuscivo a parlarne». L’angoscia di non sentirsi perdonata «per il bambino al quale ho impedito di venire al mondo e che non ha potuto difendersi».
Oggi «lo considero il mio angelo in paradiso, lo chiamo Matteo». Attraverso la fede «il disprezzo per me si è tramutato in misericordia». Del resto «la condizione in cui ho agito era di non piena libertà». Un cammino doloroso per «recuperare la dignità e il coraggio di guardare in faccia il mio errore e di accettare il perdono per una cosa che in seguito ho capito essere orrenda». Un peso insopportabile . che «cercavo di nasconderlo in me ma che dentro provocava un vuoto con conseguenze devastanti: disordini alimentari e affettivi». Malessere e rabbia.
Abissi mai colmati da «giustificazioni che non sono servite per assolvermi: mi sentivo in colpa di aver negato a un bimbo il diritto di nascere». Sentire Francesco che abbraccia «chi come me si sentiva respinto» riempie il cuore. La misericordia viene prima del giudizio. «Sono a casa, la Chiesa è qui».