La Stampa 20.12.15
Meno cliniche, più ospedali da campo
Dopo gli ultimi scandali la chiesa annuncia una vera rivoluzione nella sanità cattolica italiana Basta strutture a pagamento per vip e più impegno verso i poveri che hanno bisogno di cure
di Andrea Tornielli
Sanità cattolica, si cambia. Nei giorni scorsi è stata annunciata la nascita di una commissione vaticana chiamata a sovrintendere alle vendite e dismissioni delle strutture ospedaliere legate alla Chiesa nel mondo, e a vigilare sulla loro gestione. Martedì un nuovo segnale, questa volta tutto italiano. Nell’intervento inviato all’assemblea dell’Aris, l’associazione che riunisce le strutture sanitarie e assistenziali cattoliche, il segretario della Cei Nunzio Galantino ha affermato: «Queste istituzioni sono nate per rispondere alla domanda di salute soprattutto dei più poveri, per testimoniare il Vangelo attraverso una cura competente e integrale della persona malata, per investire risorse umane ed economiche a favore della cura senza trarne profitto di nessun genere. Domando: è sempre così?». La risposta è no, non sempre è così, e basta guardare la cronaca.
IDI e Divina Provvidenza
Sia nel caso dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata di Roma, sia in quello della Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, istituto per disabili gravi, a finire nel mirino delle inchieste sono stati religiosi e religiose responsabili della gestione, con annesso sottobosco politico-affaristico. Nel primo caso fratel Franco Decaminada, dei Figli dell’immacolata concezione che gestivano anche l’ospedale San Carlo di Nancy, è stato accusato di aver personalmente sottratto in pochi anni oltre due milioni di euro dalle casse dell’Istituto. L’inchiesta scaturita da un esposto dei dipendenti rimasti senza stipendio ha portato a ipotizzare, secondo i magistrati, «distrazioni» di fondi per oltre ottanta milioni, malversazioni e appropriazioni indebite che hanno portato l’IDI a un passivo di 845 milioni. A salvare l’ospedale, con fondi dell’Apsa, è stata la Santa Sede. È intervenuta la magistratura anche nel caso della Divina Provvidenza, istituto fondato da don Pasquale Uva negli anni Venti, che ha diverse sedi in Puglia. La Procura di Trani ha scoperto distrazioni di denaro pubblico, clientelismi, bilanci falsi. Sono stati indagati alcuni politici e alcune religiose della casa di cura, il buco è stimato in circa 500 milioni di euro.
Pecore nere
A fronte di queste imbarazzanti «pecore nere», ci sono tante strutture che funzionano. Gli ospedali cattolici in Italia sono 102 (tra i quali due Policlinici universitari e 19 ospedali classificati), con 17.099 posti letto. Le strutture per riabilitazione sono 132, con 6.057 posti letto; gli hospice per le cure palliative ai malati oncologici 23, con 346 posti letto. In totale si tratta di 257 strutture con 23.502 posti letto. Vi lavorano circa 70.000 operatori sanitari, 8.000 dei quali sono medici. A questi numeri vanno aggiunte le strutture socio assistenziali per anziani, le case di riposo: quelle cattoliche sono 1.535 per un totale di 78.328 posti letto. Numeri peraltro in costante evoluzione e continuo cambiamento. Guardando la mappa degli ospedali legati alla Chiesa, balza subito all’occhio un dato: sono concentrati soprattutto in Lombardia e Lazio; a seguire Piemonte, Veneto e Toscana. La loro presenza diminuisce notevolmente man mano che si scende al Sud. In Sardegna e Calabria non ci sono ospedali cattolici, ma soltanto strutture socio assistenziali. Che cosa significa? «I dati parlano chiaro - spiega alla Stampa don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della Cei - le strutture ospedaliere cattoliche si sono sviluppate di più dove le persone stanno meglio economicamente. La scelta che dobbiamo fare per il futuro è quella di essere più presenti là dove ci sono minori servizi».
Lo Stato risparmia?
Tra i problemi che affliggono queste strutture, oltre a quelli gestionali e a quelli legati al venir meno delle vocazioni dei religiosi che vi sono impiegati, c’è l’annosa questione dei rimborsi. Le Regioni pagano con notevole ritardo i servizi erogati in regime di convenzione. Una voragine di crediti di questo tipo ha messo a dura prova, negli anni scorsi, anche il Policlinico Gemelli di Roma, dell’Università cattolica. Diverse stime concordano nell’affermare che la sanità cattolica costi circa il 40 per cento in meno di quella di proprietà pubblica: non tutto viene rimborsato, non ci sono fondi per le ristrutturazioni. Le somme rimborsate alla sanità cattolica con le convenzioni ammontano a circa un miliardo e 700 milioni l’anno e si può calcolare un risparmio annuale per lo Stato di circa un miliardo e 200 milioni, secondo quanto scrive Giuseppe Rusconi ne «L’impegno» (Rubettino, 2013). La nuova commissione vaticana, che risponde direttamente al Segretario di Stato, interverrà quando le congregazioni religiose intendono vendere, dismettere, cedere le strutture. E opererà per assicurare trasparenza, buona gestione e fedeltà al carisma dei fondatori. Quasi sempre ospedali o case di cura sono nati per aiutare chi più aveva bisogno. «Ci dobbiamo chiedere - osserva ancora don Arice - se abbia ancora senso per la sanità cattolica, passare dal no profit al profit per sopravvivere». La via tracciata da monsignor Galantino è chiara. Il vescovo ha citato le parole pronunciate il mese scorso da Papa Francesco al convegno ecclesiale di Firenze: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti». Con meno super-cliniche vip e più ospedali da campo.