Il Sole Domenica 13.12.15
Cibo e salute: i consigli di Plutarco
di Armando Massarenti
«Conosci te stesso» recita la celebre sentenza delfica. Ma non basta conoscere a fondo i moti del proprio animo, bisogna conoscere altrettanto bene anche quelli che agitano il proprio corpo. «Chi non ha percezione di se stesso, è un cieco e un sordo che abita il suo corpo; chi apprende la propria condizione da altri, e chiede al medico se la sua salute sia migliore d’estate o d’inverno, se sopporta più facilmente il clima umido o quello secco, se per natura ha il polso rapido o lento. Infatti è utile e anche facile sapere queste cose, dato che ne facciamo esperienza quotidiana e conviviamo praticamente con esse». Parola di Plutarco. Il libretto filosofico edito dal Melangolo Consigli per mantenersi in buona salute, tratto dai Moralia di Plutarco, è un prezioso prontuario terapeutico che fa tesoro degli insegnamenti dell’arte medica di Ippocrate, fondata sul metodo empirico che insegna a riconoscere le malattie dai sintomi che le precedono. L’operetta, che prende avvio da un dialogo alla maniera platonica tra due medici, Moschione e Zeusippo, è un’apologia della filosofia, il cui ruolo è ritenuto necessario in campo medico: se unite alla riflessione filosofica, le competenze mediche possono contribuire anch’esse alla conquista della “felicità” (eudaimonia), ovvero di quel benessere psico-fisico individuale che poi è l’obiettivo di molte scuole filosofiche antiche, i cui precetti si fondando sull’idea di essere umano come unione indissolubile di anima e di corpo. I consigli di Plutarco sono di straordinaria modernità, e per lo più rinviano all’assunzione di un contegno moderato nel bere e nel mangiare: i cibi semplici sono quelli più salutari, e sono anche quelli che un corpo sano assapora con autentico appetito e con piacere, mentre le leccornie più esotiche e complicate non sono apprezzate da un organismo costipato e sofferente per gli eccessi della crapula. Tra i precetti, v’è quello – attualissimo! - di consumare la carne raramente: «è importante, dopo abbondanti pasti a base di carni rosse, mangiare poco e non lasciare residui eccessivi nel corpo, perché sono proprio questi all’origine di molte malattie». Un buon consiglio è quello di non mangiare senza fame, o di abituarsi a bere acqua di fonte a temperatura ambiente, anche quando non si ha sete. E poi si passa alle raccomandazioni relative alla buona educazione: se sappiamo di essere invitati a un banchetto importante cui non possiamo sottrarci, allora manteniamoci a dieta nei giorni che lo precedono, e se un ospite inatteso si presenta mentre noi siamo indisposti, possiamo sempre servirgli un pranzo astenendoci dal mangiare, ma facendogli compagnia con una sagace conversazione. C’è, poi, l’invettiva contro i cuochi e i loro aiutanti, che preparano «intingoli prelibati e furbacchioni», gioia di una società avvezza alle raffinatezze più estreme, come il finto uovo di pavone fatto di pasta frolla contenente un beccafico ripieno in tuorlo d’uovo pepato presentato alla tavola del famigerato ospite Trimalcione nel Satyricon di Petronio. È la stessa epoca in cui visse Plutarco, l’epoca in cui una gastronomia ossessivamente “immaginifica” era, più che una moda, un’ossessione, al punto che i medici prescrivevano emetici per svuotare il ventre prima di un prossimo, ennesimo, banchetto. Un’epoca, forse, dai cui difetti abbiamo molto da imparare.