Il Sole 31.12.15
Cina, priorità l’eccesso di capacità
Nel 2016 il governo dovrà ridurre la sovrabbondante offerta industriale
Emergenti in crisi. Le riforme economiche in rampa di lancio per contrastare la frenata della crescita
di Rita Fatiguso
PECHINO La Cina si lascia alle spalle un anno in cui ha mandato in soffitta il dogma del figlio unico, ha portato alle estreme conseguenze la lotta alla corruzione – centomila “vittime” inclusa la cattura della “grande tigre” Zhou Yongkang -, ha varato la sua prima legge antiterrorismo, ha creato una sorta di World Bank asiatica, l'Aiib, e piazzato lo yuan (non convertibile) nel paniere delle monete del Fondo monetario internazionale.
Niente male per l’autostima della seconda potenza mondiale sempre più votata al socialismo con caratteristiche cinesi, se non fosse che, nel 2016, il Paese ha davanti a sé sfide titaniche, da far tremare i polsi.
Un’avvisaglia della fragilità del sistema è emersa con il crack finanziario dello scorso mese di agosto che ha risucchiato la metà del valore borsistico delle piazze cinesi trascinando nel gorgo i listini di mezzo mondo.
La fine d’anno è stata obnubilata dallo smog, il che ha anche tolto smalto agli impegni presi dalla Cina al vertice sul clima di Parigi: a Pechino proprio a Natale il livello dei pm 2.5 rasentava quota 600 mentre ai pochi stranieri rimasti nella capitale per le festività le autorità consigliavano di non frequentare luoghi a rischio di attentati.
Adesso si comincia con la presidenza del G-20, poi le elezioni di Taiwan a metà gennaio, l’adozione definitiva del 13° piano quinquennale con il suo carico di riforme sempre più urgenti, e sempre più complicate da realizzare.
Perché il quadro economico è estremamente incerto, gli economisti di People’s Bank of China guidati da Ma Jun hanno parlato di una crescita del 6,9% nel 2015 contro il 7-6,8% atteso nel 2016, un dato tuttavia molto difficile da raggiungere.
Siamo alla crescita più lenta in un quarto di secolo e nell’ultimo scorcio d’anno l’economia ha rivisto i fantasmi del 2008, simbolo della grande crisi mondiale.
La linea del Piave cinese resta la bottom line del 6,5, che per la Cina è pochissimo, quasi una tragedia annunciata. Perché il Paese è ancora lontano dall’aver imboccato la necessaria riconversione della propria economia.
La dipendenza dalla domanda esterna sempre debole e la crescita dei prestiti incagliati e anche l’andamento del mercato immobiliare (441 milioni di metri quadrati di abitazioni invendute rilevate a novembre 2015) peseranno inevitabilmente sulla ripresa. È inoltre ancora troppo presto per verificare la ricaduta di misure di stimolo destinate ad avere effetto solo entro la seconda metà del 2016. Il tasso di inflazione 2015, è vero, potrebbe crescere dell’1,5%, ben al di sotto dell’obiettivo del governo del 3% ma le esportazioni totali rischiano un calo, a consuntivo, del 2,9 e le importazioni del 14,8. Gli investimenti fissi della Cina sono destinati a crescere del 10,3% contro il 15,7 dell'anno precedente. Con queste premesse, la cautela è d’obbligo, ma la bestia nera è la overcapacity.
Nel terzo weekend di dicembre si è svolta la Central Work Economic Conference, la classica assise a porte chiuse che prepara le decisioni dell’anno successivo: davanti al presidente Xi Jinping e al premier Li Keqiang, i leader cinesi anche in vista del lavoro da fare per il piano quinquennale si sono impegnati sia a tenere la crescita economica a un livello costante, sia a portare avanti il progetto di riforma delineato dal Terzo plenum nel 2013, che ha visto il debutto della nuova leadership.
La Cina deve riformare se stessa e, quindi, la Central Work Economic Conference ha stabilito che le riforme devono partire proprio dall’overcapacity.
La Cina ne soffre, da tempo, in vari settori dal siderurgico alla produzione di pannelli solari allo shipping. Ciò ha contribuito a una crisi del debito del Paese, ma ha anche portato a frizioni all’estero, specie per le accuse di dumping da parte dei concorrenti stranieri.
Il problema della overcapacity è un sintomo grave dei limiti del modello economico cinese, con un’evidente mancato incontro tra domanda e offerta, sia in casa che fuori. I leader cinesi hanno deciso di affrontare il problema della overcapacity come parte delle riforme dal lato dell’offerta. Tra i cinque compiti fissati per la Cina nel 2016, quindi, il taglio della capacità industriale è il numero uno. Costerà lacrime e sangue, specie sul fronte del lavoro, anche per il fatto che tutta la catena andrà migliorata, inclusa la supply chain. L’innovazione diventa davvero un fattore chiave, mentre la riduzione dei costi aziendali si ricollega alla necessità di utilizzare lavoro e capitale in modo più efficiente, in particolare nelle imprese statali cinesi. Anche l’overcapacity immobiliare sarà combattuta incoraggiando una riduzione dei prezzi nel settore dell’edilizia abitativa e con l’aumento della domanda, facilitando la concessione ai migranti della registrazione delle famiglie (hukou) nelle città minori.
La crescita della fascia sociale medioalta rimane una priorità assoluta per la leadership cinese, il presidente Xi Jinping ha ammesso che l’unico modo per la Cina per raggiungere il suo obiettivo di raddoppiare i dati del Pil entro il 2020 è quello di crescere almeno il 6,5 per cento annuo. Quindi i consumi interni non possono essere accantonati. Ma quale sarà l’obiettivo reale? Inferiore a quello di quest’anno del 7 per cento, forse a 6,8 o addirittura 6,5 per cento? Per avere la cifra giusta bisognerà aspettare il discorso di Li Keqiang ai primi di marzo alla Plenaria del Congresso.