Il Sole 15.12.15
Inchiesta parlamentare, maneggiare con cura
di Guido Gentili
Su un punto pare esserci convergenza piena e immediata tra Governo, autorità di controllo, maggioranza e opposizione: la necessità di una Commissione parlamentare che si eserciti «su ciò che è avvenuto nel sistema bancario italiano e europeo negli ultimi anni», come ha detto il premier Matteo Renzi auspicando una generale riforma del credito .
Di sicuro è meglio fare luce che provare a nascondere la polvere, o il fango, sotto i tappeti, tanto più se si tiene conto che la magistratura - è il caso di Banca Etruria - si sta già muovendo. Ma per cominciare bisognerebbe definire con assoluta precisione l’identità della Commissione parlamentare, perché a volte la si accosta alla parola “indagine” ed altre volte al termine “inchiesta”.
Sono due ipotesi molto diverse. Di Commissioni d’indagine se ne sono viste molte. L’ultima, “conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea” è già all’opera dal novembre 2014 presso la Commissione finanze del Senato e sta concludendo i suoi lavori con l’approvazione di un documento finale consultabile sul sito di Palazzo Madama. In un anno, sono sfilati al Senato autorità di controllo nazionali e europee, banchieri grandi e piccoli, associazioni.
Notevole il patrimonio conoscitivo accumulato (compresa l’evidenziazione dell’altissimo livello di crediti in sofferenza, oltre 200 miliardi, cifra da primato), a sua volta integrabile con il lavoro della Commissione Finanze della Camera che ad esempio, il 9 dicembre scorso, ha ascoltato le dure parole con le quali il capo della Vigilanza Bankitalia, Carmelo Barbagallo, ha attaccato - fatto fin qui inedito - l’Europa per non aver questa accettato l’intervento del Fondo interbancario a farsi carico dei crack di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara.
Insomma, una semplice Commissione d’indagine pare comunque inutile o buona solo, strumentalmente, per far frullare in aria l’idea che stavolta si va fino in fondo senza sconti che per chicchessia. Quanto all’ipotesi di una Commissione parlamentare d’inchiesta (per quella bicamerale serve una legge istitutiva, per quella monocamerale basta la decisione di un ramo del Parlamento e questa, al Senato, sembra essere la scelta del Pd), dotata come da Costituzione degli stessi poteri dell’autorità giudiziaria, l’unico esempio bancario del passato (di due, a fine anni ’50 ci fu il caso Giuffrè) è quello sul caso Sindona, quando nel settembre 1979, dopo l’omicidio di Giorgio Ambrosoli, fu per l’appunto istituita una Commissione del genere. E viene naturale chiedersi, in prima battuta, se siamo giunti a questo livello di necessità. Ad ogni modo, se quella che abbiamo di fronte è comunque un’emergenza assoluta, di sistema, chi lo pensa ha il dovere politico di circostanziare le sue accuse e le sue proposte. La credibilità del sistema bancario - quello italiano rappresentato fin qui dal governo attuale e da quelli che l’hanno preceduto, dalla Banca d’Italia e dall’Abi, come solido e anzi migliore di molti altri - non può essere oggetto di improvvisati salti nel vuoto. Ne va della tutela del risparmio nella stagione in cui stanno cambiando le regole della gestione delle crisi bancarie dove il principio “bail-in” (se una banca va in default non pagano i contribuenti ma gli attori-protagonisti del caso, fino ai correntisti con depositi sopra i 100mila euro) scatta a partire dal primo gennaio 2016.
Fatto è che all’appuntamento, proprio come dimostrano le vicende delle quattro banche medio-piccole che valgono appena l’1% dei depositi nazionali ma i cui casi mettono allo scoperto le storie di un banco-centrismo malato, il sistema-Italia arriva nel peggiore dei modi, quasi che la lezione dei primi anni Duemila (dai bond argentini ai crack Parmalat e Cirio) sia passata invano nonostante i continui ritocchi legislativi e burocratici snodatisi nel tempo per garantire un collocamento trasparente e corretto dei prodotti finanziari. Così a fine 2015, in un Paese dalla memoria corta, cultura del mercato debolissima, educazione finanziaria di là da venire e dove ancora è forte l’idea che le banche, alla fine, sono un’emanazione statale, si assiste allo spettacolo per il quale ciascuno assicura di aver fatto bene il proprio mestiere (di governo, di controllo, di banchiere, di politico nel Parlamento italiano e in quello europeo) anche se i conti con la realtà, con tutta evidenza, non tornano. Esattamente come lo storico, mancato coordinamento tra Banca d’Italia e Consob o il fatto che il presidente della Commissione di controllo sulla Borsa denunci che «il Governo non ci ha chiamato».
Chi ha sbagliato paghi, ma che a risolvere tutti i problemi e ridisegnare l’intero sistema del credito sia una Commissione parlamentare d’inchiesta è tutto da dimostrare. Ad ogni modo, nel caso, è consigliabile un esercizio di serietà e l’avvertenza “maneggiare con cura”, perché non sia mai che ad esplodere sia il risparmio.