domenica 13 dicembre 2015

Il Sole 13.12.15
L’amore come libera scelta
L’abbandono dei vincoli con cui lo Stato avvolgeva la vita sentimentale degli individui nel saggio di Rodotà
di Remo Bodei


Nell’accostare il diritto all’amore il libro di Stefano Rodotà propone, fin dal titolo, un apparente paradosso che sfida frontalmente il comune sentire. Siamo, infatti, abituati a ritenere che tra questi termini esista un’intrinseca incompatibilità: consideriamo il diritto legato indissolubilmente alla dimensione pubblica e a norme astratte e costrittive, mentre assegniamo all’amore la sfera privata, la spontaneità e la vita nella sua incodificabile natura. Spesso, in sintonia con la politica, il diritto sembra inoltre preposto a garantire l’ordine, a disciplinare gli affetti, a proteggere le istituzioni del matrimonio e della famiglia piuttosto che ad assicurare l’autonomia degli individui; a sua volta, a causa dell’imprevedibilità che lo caratterizza, l’amore si mostra invece quale inaggirabile minaccia a tali ordinamenti, perché li espone all’accidentalità degli incontri individuali e all’arbitrio soggettivo di chi si ama.
Il diritto di famiglia ha, di conseguenza, posto la volontà delle persone e la logica degli affetti sotto il diretto controllo dello Stato, che ha di mira la stabilità del matrimonio, la procreazione, l’educazione dei figli e la continuazione della specie: vincoli ai quali l’amore cerca costantemente di sottrarsi, spesso con esiti dolorosi e, talvolta, tragici. Del resto, il matrimonio è stato a lungo dettato da regole di genere economico e politico, dal patrimonio e da alleanze di tipo familiare o dinastico, che non tenevano conto del mondo dei sentimenti, se non marginalmente o in forma residuale: si fondava, prevalentemente, su un contratto che includeva la subordinazione della donna, la piena disponibilità del suo corpo e la sua obbedienza indiscussa al marito.
A partire dal Settecento, in funzione dell’accresciuta consapevolezza dei diritti dell’uomo e, più raramente, di quelli della donna, tale modello comincia a vacillare. Sul piano della letteratura, della filosofia e del costume inizia ad affermarsi l’idea dell’amore come libera scelta delle persone, sottratta alla decisione di padri o tutori. Più o meno direttamente, si trasporta sul piano dell’amore, da un lato, l’idea newtoniana dell’irresistibile attrazione reciproca dei corpi celesti (è il caso di Giulia o la Nuova Eloisa di Rousseau, del 1761) e, dall’altro, quella delle affinità elettive tra sostanze chimiche (come farà Goethe con Le affinità elettive, del 1809).
In assenza di un quadro istituzionale favorevole, gli individui rivendicano il loro diritto all’amore, non in nome di scelte razionali e coscienti, ma di una sorta d’ineluttabile e reciproca attrazione fatale. Un simile genere di emancipazione fa tuttavia socialmente pagare un elevato prezzo all’adulterio provocando tragedie tutte al femminile. Si pensi alla fine di Giulia che, in una sorta di simbolico autosacrificio, affoga nel lago di Ginevra e a quella dell’Ottilia goethiana, che, dopo aver perduto il bambino nato fuori dal matrimonio, anche lui annegato in un lago, si lascia morire d’inedia. L’attrazione che unisce gli amanti si manifesta ora come dovuta alla selvaggia e oscura forza degli istinti, in grado di disgregare la civiltà che le tiene a bada grazie, appunto, alle istituzioni.
La domanda che Stefano Rodotà si pone in questo volume (esemplare nelle sue affilate argomentazioni, nell’analitica lucidità e nella capacità di articolare un’ampia gamma di varianti senza oscurare le principali tesi sostenute) è se sia possibile conciliare queste due potenze, il diritto e l’amore. Se, in altre parole, sia possibile, per un verso, “liberare l’amore”, riconsegnandolo alla vita nella sua ricchezza e variabilità, e, per l’altro, trasformare il diritto da aggressivo gendarme dei sentimenti in rispettoso fautore del primato della persona. Il diritto deve riconoscere i propri limiti e far posto al non diritto: «La norma giuridica non ha il fine, esplicito o non dichiarato, di impadronirsi dell’amore, ma lo specifico, e limitato, ruolo di apprestare le strutture necessarie all’autodeterminazione, grazie alle quali le persone possano effettuare liberamente le proprie scelte e costruire liberamente la propria personalità».
Gli individui conquistano in tal modo la sovranità nei confronti degli Stati e delle Chiese. Questo diritto fondamentale all’autodeterminazione non è stato finora in Italia pienamente riconosciuto, anche perché si è incongruamente subordinato il dettato costituzionale – l’articolo 32, secondo cui «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» – al Codice Civile. Altrove si è, al contrario, espressa una nuova sensibilità. Ad esempio, l’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea distingue tra «il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia» e la Corte suprema americana, nonché i Tribunali costituzionali di Portogallo e Spagna, hanno riconosciuto il diritto al matrimonio anche alle coppie omossessuali. Osserva Rodotà che «proprio l’accesso alla libertà, più che quello ad un semplice istituto giuridico, spiega ciò che ad alcuni continua ad apparire inspiegabile – la pretesa delle coppie omosessuali di potersi sposare».
L’amore vuol farsi diritto perché rivendica questo strumento allo scopo di rafforzare la dignità delle persone e per realizzare le sue potenzialità. Un amore, dunque, dal punto di vista giuridico, a “bassa istituzionalizzazione”, che riscopre nel passato alcuni precedenti delle sue attuali aspirazioni, per quanto siano state di breve periodo e di natura aristocratica. Vengono ricordati, per i secoli XII e XIII, il De amore di Andrea Cappellano, il quale sosteneva che «per ragioni di matrimonio non è giusto rinunciare all’amore», mostrando che tale istituzione non è necessariamente l’unica via al suo compimento e – sempre nello stesso periodo, in Provenza e in Aquitania – le “corti d’amore”, composte in prevalenza da nobili dame, che giudicavano e avevano autorità in quest’ambito.
Una liberazione dell’amore di tale portata può suscitare timori e perplessità di cui l’autore è consapevole. Non è, in effetti, rischioso lasciare che si scarichino sulle coppie e sui singoli responsabilità cui non sono sufficientemente preparati? Non può la volubilità dei rapporti amorosi favorire la loro incostanza e mettere in pericolo la crescita dei figli? Non può l’aleatorietà degli impegni all’interno della coppia indebolire il senso di responsabilità individuale e generare ’farfalloni amorosi’ che procurano sofferenza in chi è tradito o lasciato?
Indubbiamente, l’amore, come tutti i sentimenti, è anche fonte di dolore, ma diversa è la sofferenza prodotta da un potere esterno da quella soggettiva di chi soffre: «L’abbandono di vincoli, con i quali lo Stato avvolgeva libertà e amore, viene oggi condannato con un argomento ingannevole, secondo il quale la coppia sarebbe abbandonata a se stessa, e quindi regolata dalla legge del più forte. La realtà ci narra una storia diversa, quella di un sistema matrimoniale che istituzionalizza disparità di diritti e subordinazione».
Per evitare il rischio sempre incombente d’instabilità nella coppia è, pertanto, necessario un rapporto di reciprocità, di dialogo, di solidarietà. «Ancora uno sforzo, in nome dell’amore», conclude Rodotà. Uno sforzo, aggiungo, che dovrebbe concentrarsi su una più intensa educazione sentimentale, ancora in gran parte disattesa e inattuata.
Stefano Rodotà, Diritto d’amore, Laterza, Roma-Bari, pagg. 152, € 14,00