venerdì 11 dicembre 2015

Il Sole 12.11.15
L’anomalia del fenomeno di massa dei bond bancari
di Morya Longo


In Italia le famiglie hanno un’elevata ricchezza (3.800 miliardi di euro esclusi gli immobili secondo i dati Bankitalia), ma una bassissima cultura finanziaria (secondo un sondaggio Gfk Eurisko meno della metà degli italiani conosce il concetto di rischio-rendimento). Le famiglie hanno insomma ancora tanti soldi, seppur male distribuiti ed erosi dalla dura crisi, ma poche conoscenze per investirli bene. Questo ha sempre regalato alle banche un formidabile coltello dalla parte del manico: cioè il potere di “pilotare” una fetta consistente di questo enorme tesoro in funzione più delle proprie politiche commerciali che delle reali esigenze della clientela.
Il caso delle obbligazioni bancarie collocate a pensionati, casalinghe e padri di famiglia è emblematico: soprattutto negli anni successivi al crack di Lehman Brothers, quando le banche faticavano a trovare finanziamenti e avevano carenza di liquidità, gli sportellisti facevano di tutto affinché i risparmiatori comprassero le loro obbligazioni. Questo fenomeno è drasticamente calato negli ultimi anni, ma ancora oggi le famiglie (secondo i dati Bankitalia di fine 2014) si trovano sulle spalle 237,5 miliardi di obbligazioni bancarie. Molte meno di qualche anno fa, ma ancora tante.
Premesso che non c’è nulla di male nel comprare questi titoli, il fatto che questo sia un fenomeno di massa pone però almeno tre problemi di tutela del risparmio. Il primo è legato alla concentrazione dei rischi. Molti risparmiatori, che hanno avuto la sfortuna di incontrare sportellisti troppo zelanti, hanno investito buona parte dei loro risparmi in un unico titolo emesso dalla loro stessa banca: questo, a prescindere dalla solidità dell’istituto, è una follia. Il secondo è quello dei prezzi. Sicure del fatto che i risparmiatori non sono in grado di valutare la congruità del rendimento offerto da un bond, per anni le banche hanno venduto alla clientela obbligazioni che pagavano tassi d’interesse più bassi rispetto a quelli che offrivano i titoli di Stato e rispetto a quelli che le stesse banche erano costrette a corrispondere agli investitori professionali. Il terzo problema è legato alla normativa del bail-in: questa rende i bond bancari (soprattutto quelli subordinati) strutturalmente più rischiosi, soprattutto per le banche che non hanno una granitica forza patrimoniale.
Tutto questo non vuol dire che le obbligazioni bancarie siano tutte rischiose (dipende da quale banca le emette) o demoni da evitare. Tutt’altro. Significa però che, prima di comprarle, ogni risparmiatore dovrebbe essere messo nelle condizioni di capire esattamente cosa acquista. E di valutare se il rendimento offerto sia coerente con i rischi che corre. Per farlo servono prospetti ancora più semplici e non burocratiche scartoffie da firmare, serve una maggiore vigilanza sulle politiche commerciali delle banche e una più accorta profilazione della clientela. Molti passi in avanti negli ultimi anni sono stati fatti, grazie alle normative europee (Mifid2), a Consob e Bankitalia. Ma, guardando la cronaca di questi giorni, evidentemente non basta.