giovedì 10 dicembre 2015

Il Sole 10.12.15
Enrico Credendino Comandante Di Eunavfor Med
«Le coste libiche non saranno mai più terra di nessuno»
intervista di Gerardo Pelosi


Le coste libiche, quel tratto di mare davanti a Zuwarah, 60 km dal confine tunisino, dove operano gli “scafisti” non sono più “terra di nessuno”. Dal limite delle acque internazionali, 12 miglia, navi e uomini della missione navale Eunavfor Med, dalla fine di giugno a comando italiano affidato all’ammiraglio Enrico Credendino, non sembrano esservi più segreti nell’attività dei trafficanti monitorata ogni giorno e documentata, pronta per essere inviata alla magistratura italiana.
Ammiraglio Credendino, non passa giorno che non si verifichi una tragedia di migranti ma le rotte dalla Libia sembrano meno battute che nel passato, Come mai?
Anche il nostro lavoro ha contribuito a ridurre il fenomeno. La missione voluta dall’Europa per contrastare l’attività degli scafisti è stata lanciata alla fine del giugno e in pochi mesi abbiamo fatto arrestare 43 trafficanti e sottratto agli scafisti 54 imbarcazioni. Pur non essendo previsto tra i nostri compiti il salvataggio abbiamo anche salvato più di 6mila migranti.
Quanti sono i Paesi che partecipano alla missione e con quante navi?
Dei 28 Paesi Ue partecipano in 22. In totale lavorano alla missione quasi 1.400 uomini di cui 160 al Quartier generale di Roma e 60 sulla nave comando “Garibaldi”. Sono impiegate attualmente, oltre alla “Garibaldi”, altre cinque unità: due tedesche, una spagnola, una inglese e un pattugliatore sloveno. Dal cielo controllano il mare tre aerei da pattugliamento tra cui uno del Lussemburgo molto efficace, due elicotteri a bordo della “Garibaldi” e un altro elicottero a bordo della nave spagnola.
Si deve a questo dispositivo se ormai le rotte dei migranti seguono più spesso le rotte verso Est?
Fino a sei mesi fa la rotta da Sud, dalla Libia e quella da Est ossia dalla Turchia pesavano percentualmente al 50%. Negli ultimi sei mesi si è passati a una percentuale dell’80% da Est e del 20% da Sud. Contano molti fattori: la guerra in Siria, il fatto che le partenze dalla Libia sono quelle più a rischio i (3mila morti da gennaio contro i 600 da Est). Poi c'è un effetto deterrenza della nostra missione: gli scafisti non possono più contare sul senso di impunità che avevano prima. E poi altri Paesi come Tunisia ed Egitto si stanno rivelando molto efficaci nel controllo delle loro frontiere.
Ma per potere incidere davvero sulla rete dei trafficanti dovrete operare anche nelle acque territoriali libiche. Servirà prima una risoluzione delle Nazioni Unite e una richiesta del nuovo Governo libico..
E’ così. Proprio per questo la settimana prossima sarò a New York per incontrare l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite. Il voto della Russia sulla risoluzione è decisivo. Non è scontato un no ma a patto che si accettino le loro richieste ed ossia nessun “boots on the ground”, nessun intervento di terra se non limitato nel tempo e cooperazione con le autorità libiche. Sarà importante anche la posizione dell’Egitto attuale membro non permanente del Consiglio di sicurezza con il qualem stiamo già cooperando.
La presenza sempre più frequente di navi e sottomarini russi nel Mediterraneo dopo la crisi con la Turchia non cambia la natura e il quadro strategico sul terreno della vostra missione?
Le navi russe c’erano anche prima dell’abbattimento dell’aereo in Turchia. Sanno che tra i nostri compiti non c’è la lotta al terrorismo; la nostra è una missione di law enforcement ma attuata con mezzi militari. E poi operiamo in parti del Mediterraneo molto distanti da loro. Siamo su un altro raggio d’azione. Cerchiamo di coinvolgere il maggior numero di soggetti che si occupano del Mediterraneo e della sua sicurezza come abbiamo fatto riunendo a Roma 38 tra Paesi, enti privati come Confitarma e organismi internazionali per la prima riunione di Shade Med (shared awareness and deconfliction in mediterranean) sull’esempio di quanto già fatto con le missioni contro la pirateria.