giovedì 31 dicembre 2015

il manifesto 31.12.15
L’Esodo biblico è il dolore dei migranti
Profughi. Stessa schiavitù e persecuzione. Il popolo della Terra promessa non era solo ebreo ma «mucchio selvaggio» di etnie e subalterni
Da questa stessa etica l’antidoto ai disastri del razzismo
di Moni Ovadia


Lo spostamento in massa di decine di migliaia, di centinaia di migliaia, di milioni di esseri umani grandi e piccoli, giovani e vecchi, donne e uomini, riceve comunemente su tutti i media la definizione di «esodo biblico». Ma l’Esodo è anche e soprattutto un preciso evento accaduto, o per meglio dire, raccontato nel libro più famoso della storia dell’umanità: la Bibbia.
Quale relazione esiste fra gli eventi che oggi definiamo come esodo e quel celebre Esodo? Un tratto comune è quello quantitativo di uno spostamento di massa, un altro tratto che li accomuna è il trattarsi di una massa composita che trascende l’età o il sesso, ma la caratteristica più significativa che accomuna l’esodo biblico di allora con gli esodi biblici di oggi, non viene sottolineato dalla mainstream del pensiero omologato e ridondante del nostro tempo, ovvero il fatto che anche allora, riferisce il biblista, il popolo ebraico scelse la via dell’esodo per sottrarsi a condizioni di oppressione: la schiavitù e la persecuzione attraverso l’ordine dato alle levatrici egizie di sopprimere i maschi ebrei dopo averli portati alla luce e di lasciare in vita solo le femmine.
Anche le genti migranti odierne scelgono la via dell’esodo per sottrarsi a schiavitù ed oppressione. Nessuna persona sensata potrebbe contestare il fatto che la fame coatta sia una terrificante forma di schiavitù e che le guerre siano una forma crudele di oppressione alla quale ogni essere vivente ha il pieno diritto di sottrarsi.
Eppure già a questo livello una prima differenza ci colpisce. Ci sono molti politici sostenuti da folle di elettori che non riconoscono nella fame una forma di schiavitù e pretendono di creare una discriminazione fra gli esseri umani che scelgono la via dell’esodo per sfuggire alla probabile morte, individuando in essi due categorie di fuggitivi: quelli legittimi, definiti rifugiati politici e quelli illegittimi definiti emigranti economici.
Quando ci si riferisce all’Esodo biblico, la sua legittimità non viene sottoposta a questioni di merito. Quei migranti che chiamiamo e tramandiamo col nome di ebrei e che si mossero al seguito di un profeta balbuziente il quale si presentò a loro dichiarandosi investito dal Dio del monoteismo, il Dio dello schiavo e dello straniero, erano un popolo etnicamente omogeneo? Beh! Pare di no. Stando alla definizione del grande Rabbino statunitense e scrittore Haim Potok, riportata nella sua opera Storia degli ebrei, erano una specie di «mucchio selvaggio», c’erano israeliti discendenti di Giacobbe, vari asiatici: mesopotamici accadi, ittiti, transfughi egizi e molti habiru, — termine forse di origine protosinaitica che indicava i fuorilegge a vario titolo -, sovversivi, contrabbandieri, ruffiani, ladri. Tutti coloro definiti «ebrei» seguirono Mosè? Anche in questo caso la risposta dovrebbe essere negativa! La maggior parte di essi preferì negoziare la certezza di una schiavitù accettabile, all’avventura di una difficile e rischiosa libertà. Il coacervo di sbandati che riconobbe la parola vertiginosa del profeta balbuziente, divenne il popolo eletto, eletto perché popolo di schiavi e stranieri che riconosce in quella condizione il valore di un’elezione. Un popolo eletto, eletto dal basso. Un popolo che si aggrega durante l’esodo stesso intorno ad una patria mobile, una legge che propugna una declinazione originaria e inedita di giustizia e di etica e si dirige verso una terra «promessa», la terra del Signore, dove istituire una modalità di vivere come straniero e soggiornante, straniero fra stranieri, dopo essersi liberato dalla nefasta eredità della terra d’Egitto, nazione di idolatria e di schiavitù. Che cosa chiedeva il popolo eletto? Chiedeva di servire il Dio della libertà e dell’anti-idolatria. Questa storia celeberrima fonda una delle linee narrative dell’Occidente e della sua tanto conclamata identità giudaico-cristiana, identità piena di tare e patologie.
L’arrivo nella terra abitata da altre genti determinerà, con l’andare del tempo, una deriva di impronta nazionalista. L’abbandono dell’etica dello straniero, capace di vivere in prima istanza come straniero a se stesso, con l’andare del tempo farà fallire il progetto, tremila anni fa nella terra biblica, come oggi nella terra del cosiddetto Sionismo. L’esodo intendeva essere l’avanguardia di un’umanità che sceglieva di fondarsi su un’economia di giustizia, su una società di uguali e liberi fondata sull’ethos di custode della Terra e non di suo Padrone.
I migranti di oggi, dal canto loro, non fuggono anch’essi da idolatria e schiavitù nella loro forma più specifica, ovvero la violenza contro l’innocente? E cosa cercano? Cosa chiedono? Una «Terra promessa» dove essere accolti da stranieri come cittadini. Sperano di essere riconosciuti nella loro dignità universale. Essi a torto e/o a ragione vedono nei paesi dell’Occidente la loro terra promessa e con un altissimo e contraddittorio tasso di ambiguità, l’Occidente, seduttivamente, appare come tale. Si tratta però in gran parte di seduzione perversa. L’Occidente è stato per secoli il Faraone colonialista e oggi crea la crisi e prosegue la sua rapina del pianeta e delle sue risorse di cui, inopinatamente, si ritiene proprietario con forme sempre più pervasive del neo-colonialismo. Impone surrettiziamente guerre e violenza, la sua logica di uno sviluppo ipertrofico determina inedite forme di espropriazione, altera le condizioni ecologiche, influisce sul clima devastando lo stato di vastissimi territori e provoca alterazioni destinate a innescare nuove e sempre più tragiche ed inarrestabili ondate migratorie segnate da una crescente disperazione.
Una parte del vecchio continente, con sconcertante stupidità e cecità, reagisce ancora ridando la stura al più sconcio e putrescente armamentario nazionalista intriso da residui di logiche nazifasciste, soprattutto in quell’Europa centro-orientale che pure ha sperimentato il cancro di quella peste nera con il suo bagaglio di morte, distruzione, odio e sterminio. Anche un sedicente socialista come Holland, per pure ragioni elettoralistiche, riesce a farsi complice di questo clima.
Ovviamente questa pandemia è stata alimentata anche dall’ossessione ideologica e tardoimperialista degli Stati Uniti che non hanno mai cessato di alimentare l’anticomunismo malgrado l’assenza dei comunisti e persino della loro lingua. Gli Usa non hanno smesso di imporre a tutto l’Est l’estensione della Nato nonostante la fine della guerra fredda ed essa alimenta un insensato revanscismo che rischia di provocare disastri ma soprattutto pregiudica la nascita di un’Europa unita in un’autentica democrazia.
L’etica dell’Esodo applicata ai grandi flussi migratori potrebbe diventare, in questo contesto, un prezioso e poderoso antidoto per contrastare un potenziale disastro che si annuncia con sinistra e crescente incombenza.