il manifesto 30.12.15
Jobs Act, per l’inconscio renziano i veri gufi sono i numeri
Simboli. Alla conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio spunta il gufo,il volatile che incarna l’unico ostacolo che il suo volontarismo non sopporta, ma di cui non può fare a meno: i dati e la realtà del lavoro
Lo storytelling li vuole travolgere, ma il gufo ricomincerà a volare
di Roberto Ciccarelli
Nell’ornitologia politica di Renzi i gufi sono il lato menagramo della vita. La “vecchia” sinistra e i “nuovi” populismi che non credono ai suoi sogni sono i portasfiga in un paese affamato di ripresa. Le slide proiettate ieri durante la conferenza stampa di fine anno nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera sono la rappresentazione dell’inconscio renziano. Nella parte superiore di ogni immagine c’è il disegno di un gufo, il dover essere, sotto i numeri delle “riforme” approvate: il desiderio.
Bolla Jobs Act
Prendiamo la slide sull’occupazione. Il tema è scottante: in campo c’è il Jobs Act e i suoi incentivi-regali alle imprese per aumentare la bolla occupazionale. Sopra c’è scritto: “Il Jobs Act non sarà mai approvato”; sotto ci sono gli ultimi dati dell’Istat: “Tasso di disoccupazione: 11,5%”, “+300 mila posti di lavoro”, “+97% di mutui”. In realtà nessuno ha mai sostenuto che il Jobs Act non sarebbe stato approvato, ma che gli incentivi alle imprese non avrebbero prodotto nuova occupazione. L’unico a non averlo capito è il governo che continua una cavalcata solitaria nel mondo dell’approssimazione.
Dati gufi
Renzi ha un problema con le statistiche. Non le capisce, ma pretende di usarle politicamente. I suoi avversari sono i numeri, non l’opposizione. Il gufo è l’animale simbolico che incarna l’unico ostacolo che il suo volontarismo non sopporta, ma di cui non può fare a meno: i dati. Ostinati, come il principio di realtà, questi dati continueranno a perseguitarlo. Ieri, mentre il premier intratteneva i giornalisti con lo slide show di fine anno, i gufi sono tornati a volare. L’Istat ha pubblicato un annuario sull’occupazione con i dati del 2014, utili per capire quelli del 2015.
Il Fornero Act
I 300 mila posti in più vantati da Renzi sono per la maggior parte conversioni di vecchi contratti, in particolare per gli over 50. Dal gennaio 2013 all’ottobre 2015 gli ultra cinquantenni sono tornati a lavoro in 900 mila, mentre tra i 25 e i 34enni la disoccupazione è cresciuta del 17%. Tra gli under 35 ci sono 300mila disoccupati in più; tra gli under 49, 459 mila in più. A ottobre la disoccupazione giovanile (15–24 anni) è risalita al 39,8%, dopo un calo durato qualche mese. Diamo a Renzi quello che è di Renzi: non tutto questo è merito del Jobs Act. Molto ha fatto la riforma Fornero. La sua riforma del lavoro proseguirà con le vecchie abitudini: spremere come limoni i dipendenti, moltiplicare il precariato tra giovani (e non).
Istat, altro che Jobs Act. E’ la legge Fornero a creare lavoro
Il dato sulla disoccupazione all’11,5% è preso dall’Istat. Il problema, fuori dal radar cognitivo di Renzi, è che aumentano gli inattivi (+196 mila): coloro che non cercano un’occupazione dopo essere rientrati sul mercato del lavoro. Per una politica che ha puntato tutto sulla ripresa occupazionale e i bonus per i consumi, questo è un problema più grande di un povero gufo.
Boom del lavoro. Povero
Parliamo del tasso di occupazione. È diminuito di 0,1 punti percentuali, arrivando al 56,3%. È il più basso d’Europa, dopo la Grecia. La Spagna – per prendere un paese paragonabile al nostro — supera il 59%. Su questo punto persino Renzi fa una concessione alla realtà e ammette che si può fare meglio. Ma la strada è in salita: l’ultimo bollettino della Bce sostiene che l’Italia è il fanalino di coda nell’Eurozona con 127 mila unità occupazionali in più tra il 2013 e marzo 2015. La Germania è cresciuta di 592 mila. Spagna in testa: 724 mila. È il boom del lavoro povero.
Renzi dice che i 300 mila sono posti di lavoro fissi. Non è vero, stando al jobs act sono a tutele crescenti, e non è affatto detto che tutti rientrino nel suo dispositivo e saranno assunti al termine del loro “apprendistato” a diritti ridotti. Sfortuna vuole che solo due giorni fa l’osservatorio del ministero del lavoro (quello di Poletti) ha accertato che i nuovi contratti riguardano gli over 45. Nel terzo trimestre 2015 c’è stata una diminuzione di 7308 contratti a tempo indeterminato: da 501 a 493 mila. La stessa tendenza è stata rilevata dall’Istat a ottobre. Insomma la parabola discendente del Jobs Act+assunzioni+incentivi sembra essere già iniziata.
Ora tocca alle partite Iva
“Di lavoro in Italia ce n’è di più, non meno” ha confermato Renzi. E in effetti il Jobs Act si è occupato solo del lavoro dipendente a tempo indeterminato e soprattutto di quello a termine. Sempre lavoro precario è. Quando finiranno gli incentivi ci saranno i licenziamenti compensati solo da un risarcimento per non mettere in mezzo un giudice. Un solerte mago del marketing provvederà a occultare anche questi dati.
Nel frattempo, nulla è stato fatto per il lavoro indipendente e le partite Iva (-44mila solo a ottobre), la fascia dei “giovani” e degli “innovatori” che la generazione dei “rottamatori” avrebbe dovuto tutelare. La spinta propulsiva del renzismo li ha trascurati, ma non tarderà a travolgere anche loro.