mercoledì 23 dicembre 2015

il manifesto 23.12.15
Nuovo attacco dei coloni contro una casa palestinese
Cisgiordania. Lanciati candelotti lacrimogeni all'interno dell'abitazione dove dormiva anche un bimbo di nove mesi
L'intervento dei vicini ha evitato una tragedia come quella di Kfar Douma, in cui fu ucciso Ali Dawabsha, 18 mesi
Gli assassini del piccolo palestinese non ancora rinviati a giudizio e ora denunciano abusi da parte dei servizi di sicurezza
di Michele Giorgio


GERUSALEMME Minacciano di nuovo il pugno di ferro i ministri del governo Netanyahu contro il «terrore ebraico» che colpisce i palestinesi. Persino Naftali Bennett, leader di “Casa ebraica”, il partito dei coloni israeliani, è sceso in campo invocando l’uso della forza contro gli estremisti ebrei. «Abbiamo di fronte un terrorismo condotto da persone che nemmeno riconoscono lo Stato di Israele, che vogliono innescare un conflitto apocalittico», ha tuonato. Sino ad oggi però si sono visti ben pochi fatti oltre alle parole. I quattro sospettati dell’assassinio di Ali Dawabsha, 18 mesi, e dei suoi genitori la scorsa estate a Kfar Douma, restano detenuti ma non sono ancora stati rinviati a giudizio. E lunedì notte altri estremisti israeliani, con ogni probabilità coloni, hanno rischiato di provocare una nuova strage di civili innocenti lanciando candelotti lacrimogeni dentro una casa del villaggio palestinese di Beitilu, vicino Ramallah, in Cisgiordania.
All’interno dell’abitazione c’era Hussein Najjar assieme alla moglie e al figlioletto Karam, di nove mesi. Si sono salvati per miracolo. L’attacco è avvenuto verso le 3 di mattina, quando la famiglia Najjar era immersa nel sonno. «Siamo riusciti a metterci in salvo grazie all’intervento dei vicini che hanno spaccato i vetri dell’abitazione lasciando uscire il gas. Siamo stati fortunati», ha raccontato Hussein Najjar ai giornalisti. Suo figlio Karam ha rischiato di rimanere soffocato. La stessa polizia israeliana ha definito l’attacco un «crimine nazionalistico ebraico». D’altronde gli attentatori hanno lasciato la loro firma, inequivocabile. Su un muro esterno è stata trovata una scritta in ebraico, “Vendetta. Saluti dai Prigionieri di Sion”, in evidente riferimento ai loro compagni detenuti perchè coinvolti nell’attacco omicida a Kfar Duma in cui morirono Saad e Reham Dawabsha e il piccolo Ali. Il bimbo bruciò vivo nelle fiamme che avvolsero in pochi attimi la sua abitazione dopo il lancio di almeno due bottiglie incendiarie. I genitori morirono nelle settimane successive a causa di ustioni gravissime. Della famiglia sterminata resta in vita solo l’altro figlio, Ahmad, 4 anni, che porterà per tutta la vita su gran parte del corpo i segni lasciati dal fuoco.
A distanza di cinque mesi da quel rogo, il ministro della difesa Moshe Yaalon e quello della sicurezza interna Gilad Erdan, continuano a sostenere la tesi della mancanza di prove schiaccianti nei confronti di quattro giovani estremisti di destra. Confermano così l’ambiguità del governo Netanyahu: implacabile nei confronti dell’Intifada palestinese, morbido verso i coloni. Negli ultimi giorni i gruppi di estrema destra sono stati protagonisti di dimostrazioni violente anche a Gerusalemme e hanno persino cercato di dare l’assalto alla casa di Yoram Cohen, il capo dello Shin Bet, il servizio di sicurezza interno, che accusano di aver abusato dei quattro sospettati di Kfar Douma, tutti in possesso della doppia cittadinanza. Itamar Ben-Gvir, l’avvocato della destra radicale, ieri ha denunciato presunte molestie e violenze sessuali a danno dei quattro sospettati durante gli interrogatori. Sostiene inoltre che le confessioni fatte dai quattro estremisti detenuti sarebbero state estorte con la forza durante gli interrogatori. «Mi vergogno dello Stato di Israele che accetta il comportamento degli agenti di sicurezza», ha commentato l’avvocato durante una conferenza stampa. Da anni i palestinesi denunciano gli stessi abusi ma l’avvocato Ben Gvir non ha mai aperto bocca per difendere i loro diritti violati