lunedì 7 dicembre 2015

Corriere 7.12.15
La Francia ferita manda un messaggio sul futuro dell’Europa
Svolta Il Front National è il prodotto delle esitazioni della destra gaullista e delle ambiguità di una sinistra che non ha saputo vedere la disgregazione sociale ed economica di un Paese in difficoltà
di Massimo Nava


Il successo del Front National è straordinario. Un terremoto politico, da nord a sud. È il primo partito di Francia. Era previsto, dai sondaggi e dai media, che si sarebbe votato pensando anche al Califfato e alla strage del Bataclan. Non c’è da stupirsi.
Sorprende invece la ripetitività di analisi e reazioni tendenti ad attribuire a Marine Le Pen soltanto straordinarie capacità di cavalcare le grandi paure, dal terrorismo stragista all’immigrazione senza controllo. E a consegnare alla voce «populismo» irrazionali inquietudini della popolazione che voterebbe con la pancia per il leader che fa il discorso più duro e il partito delle promesse semplificate.
Il Front National non è solo questo.
È anche il prodotto delle esitazioni e dell’involuzione della destra gaullista, che ha diluito i suoi valori (autorità, senso dello Stato, laicità repubblicana, identità della nazione) salvo il tentativo di Nicolas Sarkozy, di nuovo in corsa per l’Eliseo, di tornare alle origini, decomplessare il partito, costruire l’alleanza di tutti i moderati.
Ed è anche il prodotto delle ambiguità culturali e ideologiche di una sinistra che non ha saputo vedere né i pericoli di disgregazione sociale ed economica che minacciavano la società francese né interpretare la necessità di profonde riforme strutturali.
La Francia, da Chirac a Hollande, passando per Sarkozy, ha moltiplicato assistenzialismo improduttivo, ha tagliato risorse per la polizia, ha aumentato tasse e debito pubblico, ha portato la disoccupazione a livelli record, ha allargato disparità sociali, ha permesso che grandi aree periferiche diventassero off limits , per le forze dell’ordine e per le regole dello Stato laico.
Errori e ambiguità dei due maggiori partiti hanno lasciato senza punti di riferimento milioni di elettori, quelli più deboli, quelli che pagano sulla propria pelle il prezzo delle riforme mancate, della disoccupazione di massa e della contiguità urbana con le periferie, all’interno delle quali si allignano estremismo religioso, proselitismo, criminalità comune.
Molti non votano più, ma quelli che lo fanno sono stanchi di esorcismi sul valore morale o sulla inconsapevolezza delle loro scelte, sull’inganno del Fronte, sui pericoli per l’immagine del Paese nel mondo. Sono operai, ceti medi decaduti, immigrati di prima generazione, giovani disoccupati, pensionati che chiedono sicurezza, controllo dell’immigrazione, frontiere meno permeabili, meno tasse e più crescita.
Sono domande che non riguardano solo la Francia e che ci facciamo tutti, sul crinale stretto fra sicurezza e libertà, tolleranza e buonismo, accoglienza e integrazione, welfare e produttività, mentre il terrorismo colpisce e i venti di guerra ci angosciano.
L’abilità di Marine Le Pen è fuori discussione. Ha saputo rinnovare il partito, smussare i toni, assumere una statura «repubblicana», catturare personalità senza il marchio della destra lepenista. Ma il Fronte attraversa la politica francese dai tempi di Mitterrand, è esploso con Chirac, si è radicato con Sarkozy e con Hollande. Il fatto che il presidente in carica sia risalito nei sondaggi, senza arginare la rovinosa sconfitta della sinistra, non fa che confermare la sensibilità della Francia di oggi.
I francesi esasperati applaudono misure di emergenza, retate della polizia, controllo delle frontiere, sostanziale congelamento di Schengen. Ossia un armamentario di misure che il Front chiedeva da tempo, almeno da dopo gli attentati a Charlie Hebdo. Il copia incolla non paga. Adesso l’originale è Marine. Adesso la corsa all’Eliseo, nel 2017, è più che mai una corsa a tre. Adesso servono a poco gli appelli all’unione repubblicana e democratica, ad alzare barricate unitarie che gli elettori del Fronte non sembrano avere voglia di ascoltare.
Il risultato conferma la radicalizzazione sul territorio, dal Nord depresso al Sud ricco, la conquista di nuove aree, la penetrazione nelle grandi città. È l’ennesimo segnale che un Paese in crisi, ferito dal terrorismo e ripiegato su se stesso, manda all’Europa, condizionandone il futuro, dopo averne complicato il passato. Nell’Europa, «espressione» monetaria e non politica, questa Francia è parte del problema e sempre meno della soluzione.
Gli imitatori di Marine Le Pen crescono in tutti i Paesi dell’Unione, si colorano di destra e di sinistra, aspirano a governare e qualche volta ci sono già riusciti. Continuare soltanto a chiamarli populisti, con lo sprezzo del politicamente corretto o dello snobismo tecnocratico, è stupido e inutile. Passeggeranno sugli errori e travolgeranno gli ideali.