giovedì 17 dicembre 2015

Corriere 17.12.15
Il terrore in Vandea. La fede e la rivoluzione
risponde Sergio Romano


Non concordo con le risposte da lei fornite negli ultimi giorni a lettori che la interpellavano circa il regime del «Terrore» e la rivolta vandeana: non penso che questa possa essere definita come una sorta di «Terrore bianco». Il «Terrore», quello comunemente inteso, venne messo all’ordine del giorno della Convenzione il 5 settembre 1793; una delle sue espressioni più cruente fu proprio la repressione della insurrezione vandeana, culminata tra gennaio e marzo del 1794 in uno sterminio, comprensivo delle famose «deportazioni verticali»: «La Vandea non esiste più, morta sotto le nostre sciabole: ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei miei cavalli, ho massacrato le donne che non genereranno più banditi» (generale repubblicano Westermannn). Appare arduo considerare la vicenda come lo scontro tra due «Terrori» contrapposti. In effetti, gli storici concordano nel definire «Terrore bianco» quello determinatosi oltre un anno dopo, nel 1795, ad opera dei filo-monarchici, soprattutto nella regione del Rodano, quindi molto lontano dalla Vandea. Da ultimo, ritengo che a un lettore richiedente consigli di lettura intorno alla questione vandeana sarebbe stato più opportuno proporre alcuni degli innumerevoli eccellenti saggi scritti sulla Rivoluzione francese, accessibili a qualsivoglia tipo di lettore, piuttosto che un romanzo (storico, ma pur sempre opera d’invenzione).
Roberto Bianchi

Caro Bianchi ,
Mi era stato chiesto che cosa fosse il «terrore bianco» e ho dato qualche esempio. Ma non ho detto che la violenza e la ferocia fossero esclusivamente nel campo dei vandeani. Se qualcuno mi chiedesse un giudizio complessivo su quella sciagurata e sanguinosa vicenda, ripeterei quello di uno storico della rivoluzione francese, François Furet, che sulla guerra di Vandea ha scritto: «Se questo episodio storico relativamente breve ha lasciato tracce tanto considerevoli nella politica francese, ciò è dovuto al fatto che è assunto immediatamente a simbolo dello scontro tra rivoluzione e controrivoluzione, e ha subito alimentato una violenza inespiabile. Violenza vandeana, perché questa plebe rurale, insorta in nome di Dio, è senza misericordia. Ma soprattutto violenza rivoluzionaria, la più ingiustificabile persino di fronte alla “salute pubblica” che serve da giustificazione poiché è una violenza di vincitori, esercitata a scopo punitivo dopo la liquidazione dell’armata cattolica e regia».
All’origine della insurrezi0ne vandeana vi sono almeno due cause: la coscrizione obbligatoria, anzitutto, votata dalla Convenzione nel febbraio del 1793 per il reclutamento di 300.000 uomini da «sorteggiare fra i celibi di ogni comune», e la costituzione civile del clero, vale a dire la trasformazione del potere divino, esercitato da una casta sacerdotale, in un servizio pubblico alle dipendenze dello Stato. Delle due cause la seconda è quella che maggiormente inasprirà gli animi e farà scorrere il sangue. La guerra che si combatte in Vandea fra il 1793 e il 1795 è un conflitto fra due fedi: il clero tradizionale, predicato da generazioni di curati in una delle regioni più devote di Francia, e la fede rivoluzionaria del nuovo Stato sorto dalla rivoluzione. Ma è anche una guerra civile combattuta da uomini e donne di uno stesso popolo e di una stessa terra. In un tale contesto la violenza è quasi sempre inevitabile. Quando assiste agli orrori della guerra siriana e all’efferata crudeltà dell’Isis, l’Europa non ha il diritto di esserne sorpresa.
Quanto all’utilità dei romanzi per lo studio della storia, caro Bianchi, devo confessarle che ho trovato in Tolstoj, Gogol, Stendhal e Thomas Mann (cito a caso) molto più di quanto abbia trovato in parecchi manuali di storia.