sabato 12 dicembre 2015

Corriere 12.12.15
La sinistra lontana dal popolo demonizza il front national
L’affermazione lepenista non è figlia della strage di Parigi ma di un percorso trentennale in cui si è costruito il consenso
Si tratta di un fenomeno francese, difficile da esportare, ma l’allarme suona anche per noi Non va liquidato come antipolitica
Il partito suscita aspettative, anche se irrealizzabili, e produce una forte identità
di Paolo Franchi


Il terrorismo dell’Isis e tutto quello che ne consegue, certo. Ma i parigini, e in particolare gli elettori dell’undicesimo arrondissement , quello più bestialmente colpito dal nuovo stragismo, a madame Le Pen non hanno dato retta. È nel resto della Francia che il Fronte Nazionale è diventato il primo partito, grosso modo con le percentuali che i sondaggi gli pronosticavano da tempo. Non ci ha messo qualche mese: ci ha messo trent’anni. Trent’anni in cui, come scrive su Liberation Laurent Joffrin, «la grande orchestra repubblicana… giocando sui sentimenti o sulla ragione, invocando ricordi storici o minacce future» ha suonato senza successo l’allarme per impedirne l’ascesa. E alla vigilia del secondo turno delle regionali Manuel Valls, imperterrito, insiste con questo spartito. Anzi, alza oltre misura i toni. Se si affermasse il Fronte, dice, la Francia sarebbe a rischio guerra civile: francesi di sinistra e francesi della destra «classica» unitevi e votate, in nome dello spirito di rassemblement dell’una e dell’altra per respingere la minaccia.
Il Fronte Nazionale «nemico interno»? La politica, quando non sa più parlare, straparla. Forse domani Marine Le Pen vincerà meno di quanto sperasse, probabilmente (ma nessuno può giurarlo) non diventerà mai presidente. Di certo, però, ha messo solide e ramificate radici nella Francia più penalizzata dal presente e più spaventata dal futuro: tra i lavoratori e tra i loro figli, e più in generale in quello che una volta si chiamava, senza troppi timori di vedersi accusati di populismo, il popolo. Quel popolo al quale la droite sarkozysta ha poco da dire e dal quale la sinistra, non solo in Francia, ha divorziato da un pezzo, anche con una punta di fastidio per la sua volgarità; che detesta le élite, o presunte tali, chiede loro, non senza qualche ragione, il conto, e vuole mandarle quanto prima gambe all’aria. Quello per il Fronte non è più, se mai lo è stato, un voto di protesta. I francesi che hanno scelto zia e nipote Le Pen non lo hanno fatto per sfregio, ma per una convinzione che difficilmente questi socialisti e questa destra (non troppo) moderata che le insegue senza successo sul loro stesso terreno riusciranno a scalfire.
Populista, xenofobo, razzista? Certo il Fronte Nazionale è anche questo, eccome, anche se la signora Marine ha messo da tempo un freno, uccidendo simbolicamente il padre, agli estremismi, è favorevole ai Pacs, canta la Marsigliese, inneggia pure lei, facendo appello ai francesi perché la riconquistino, alla Republique. E il suo largo seguito popolare (Benito Mussolini, Adolf Hitler e, in Francia, il maresciallo Petain ne avevano, se è per questo, uno ben maggiore) non basta ad assolverlo dal suo peccato originale. Definirlo come una riedizione moderna di antichi orrori, però, è una semplificazione indebita, proprio come sostenere che non è né di destra né di sinistra: qualcuno ricorderà, d’altra parte, che Ni droite ni gauche era il titolo di un famoso libro di Zeev Sternhell sul fascismo francese. Il fatto è che il Fronte non si lascia rappresentare ricorrendo, quasi per un riflesso condizionato, a questa vecchia coppia, della cui crisi è, semmai, il prodotto più significativo. Si nutre anche di residuati degli armamentari ideologici d’antan dei duellanti di un tempo, e li combina spregiudicatamente (il no all’immigrazione come condizione per la difesa strenua dello Stato sociale nazionale, per fare l’esempio più classico). Ma suscita aspettative, per quanto irrealizzabili, e produce politica in proprio. In un mondo in cui gli attori tradizionali non ne producono più.
Altro che «antipolitica». Tutto questo non basterà, domani, per governare la Francia restituendole, nell’età della mondializzazione, la grandezza perduta. È bastato e basta, però, per produrre identità quando le identità degli altri si facevano a dir poco flebili, e addirittura ideologia, trasformandola, avrebbe detto il vecchio Marx, in forza materiale, mentre la destra e la sinistra classiche (non solo in Francia) proclamano che le ideologie sono bubbole del passato. Ed è bastato e basta per costruire e portare alla vittoria qualcosa di simile a un partito, in tempi in cui i partiti, in particolar modo quelli identitari, sono considerati degli inservibili attrezzi novecenteschi.
Il Fronte Nazionale è un fenomeno molto, molto francese. Spaventa le classi dirigenti europee, che pure hanno fatto tutto quel che potevano per rafforzarlo. Anche noi, però, dovremmo avere di che preoccuparci. Il lepenismo, proprio come la rivoluzione, non si esporta. Ma la Francia, con tutte le sue differenze, è vicina. E le frontiere europee, per le nuove destre, restano aperte. Anzi, apertissime.