martedì 3 novembre 2015

Repubblica 3.11.15
Quell’asse ostile tra Curia e Opus Dei
di Claudio Tito


SEMBRA un salto nel passato. Una sorta di déjà vu .
Un ritorno a quel conflitto tutto dentro la Chiesa che ha avuto l’acme tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013. Gli arresti di ieri riportano le lancette dell’orologio proprio a quella fase. Sembra che sia cambiato poco o niente. O almeno che l’opera di pulizia nella Curia non sia arrivata fino alle radici più profonde. Quasi tre anni fa il pontificato di Benedetto XVI si era chiuso traumaticamente.
CON un passo che nella Chiesa ha un valore storico e quasi unico: le dimissioni. Una scelta che allora fu attribuita e per certi versi giustificata dalla guerra in corso nella Santa Sede. Il Papa in quel momento non nascose la sua impossibilità a raccogliere tutte le energie fisiche necessarie a contrastare l’inquietante sorvolo dei corvi sulla cupola di San Pietro.
I fatti di questi giorni mettono allora in evidenza un elemento di incompiutezza. È ormai evidente che la riforma della Curia non ha ancora inciso fino in fondo. Il segno del rinnovamento non ha prodotto tutti i suoi frutti. In una istituzione monocratica come quella vaticana, il ripetersi di episodi che erano stati condannati con fermezza dimostra, insomma, che il marcio di una parte di quel mondo non è stato estirpato. O, peggio ancora, che ha dato origine a un metodo. Capace di autoriprodursi. Di ritrovare al suo interno gli anticorpi più velenosi per rigenerarsi. Del resto, che sul soglio di Pietro sia in corso una battaglia lo si era capito da tempo. Si tratta di un conflitto che ha poco di teologico o dottrinario. Assomiglia molto di più a una lotta di potere, anche e soprattutto economico-finanziaria. Francesco fa i conti con essa fin dall’inizio del suo Pontificato. E molti dei nemici di Ratzinger sono tuttora in campo.
Ora però, rispetto ai quasi otto anni di Benedetto sul soglio di Pietro, si sta configurando un vero e proprio salto di qualità. Nell’ombra non agisce più un semplice maggiordomo papale (peraltro Paolo Gabriele è stato perdonato e di recente anche reintegrato nell’amministrazione della Santa Sede) ma un ecclesiastico, con un incarico di vertice. Il “corvo” ha salito uno dei gradini della scala gerarchica. Nello stesso tempo gli attacchi al Papato assumono sempre più uno stile “temporale”, propriamente “politico”. Basti pensare a quel che è accaduto all’ultimo Sinodo. All’uso “correntizio” di lettere e appelli, alle voci sullo stato di salute del Pontefice. Tutti elementi che partecipano a creare lo stesso clima. E a dare corpo al medesimo obiettivo: provare che non è cambiato niente rispetto al marzo del 2013.
Ma la situazione non è certo la stessa. È chiaro che l’azione di questo Pontificato l’ha modificata limitando il vecchio sistema di potere. Nel nuovo quadro e nello scontro di “nuova generazione” si inseriscono anche fattori del tutto peculiari, legati ad esempio alle origini argentine di Francesco. Per molti non è un caso che Vallejo Balda sia un membro dell’Opus Dei. Una parte dell’Opera teme di perdere la sua storica influenza sull’area iberica e latino-americana, vuole marcare il territorio. A differenza di Ratzinger, poi, Bergoglio è consapevole fin dall’inizio del suo mandato di quale possano essere i potenziali ostacoli. La relazione ordinata da Benedetto XVI a tre cardinali ottuagenari dopo lo scandalo Vatileaks è, ad esempio, nelle mani di Bergoglio fin dal primo momento. Quel documento è stato una vera e propria bussola per le sue scelte legate al rinnovamento della Curia. Sebbene anche Vallejo Balda e la Chaouqui rientrino tra le nomine approvate da Francesco. Scelte sottovalutate che anche i collaboratori più stretti del Papa attribuiscono alla “solitudine”, quasi difensiva, che si è imposto in questi 32 mesi. Alla sfiducia mai nascosta nei confronti della Curia romana.
La seconda differenza risiede nel contesto internazionale degli “avversari”. Nel 2013 sul banco degli accusati salivano soprattutto i prelati italiani. L’attenzione era concentrata sulla Curia “troppo” romana. Adesso — e il Sinodo lo ha plasticamente mostrato — esiste un fronte geograficamente trasversale.
Con la nomina di Parolin, il Papa ha voluto mettere sotto controllo la Segreteria di Stato. Ha poi affidato al cardinal Bertello, presidente del Governatorato, la possibilità di ristrutturare uffici e servizi dentro il Vaticano. Ma evidentemente non basta. Le prossime mosse non potranno che portare ad accelerare il ricambio ai vertici delle gerarchie. Le nomine da compiere da qui ai prossimi mesi non potranno che avere tutte questa impronta. Una strategia usata in passato anche da altri. Basti pensare alla forza che — dopo tanti anni — ha ancora adesso il “ruinismo” tra i vescovi e i cardinali italiani. Il cardinal Ruini ha lasciato ogni incarico operativo dal 2008 ma molti dei suoi fedelissimi rivestono tuttora ruoli chiave.
L’obiettivo di Francesco, allora, non potrà che essere quello di cambiare l’Episcopato per restituire alla Chiesa una sorta di “onda lunga” del rinnovamento, darle un equilibrio diverso e guidare le scelte del futuro.