lunedì 30 novembre 2015

Repubblica 30.11.15
Il Natale multietnico
Il presidente dell’Ucoii “Conoscere le diversità serve ad avere un terreno su cui costruire ponti”
Non stemperare tutto in una sintesi laica ma anche respingere ogni fondamentalismo
Dal presepe vietato a quello imposto per decreto Il dibattito sui simboli cristiani nella nuova società interculturale chiama in causa i valori dell’identità e dell’integrazione
E spesso la politica interviene a gamba tesa
di Laura Montanari


CHI si limita all’albero, chi fa anche il presepe «ma senza insistere sull’aspetto religioso», chi se la cava con gli addobbi della neve alle finestre, chi ritiene che anche l’albero però «uhmmm, non sia poi così laico». Chi prova a spegnerne le luci con una circolare, chi soppianta il 25 dicembre con la festa dell’inverno e chi fa tutto secondo tradizione, ”Tu scendi dalle stelle” compreso. Il Natale al tempo della scuola multietnica è materia da maneggiare con cura. Ne sa qualcosa Marco Parma, il preside della scuola Garofani di Rozzano, nell’hinterland milanese, finito nella bufera proprio per aver cancellato le feste di Natale e oggi convocato dall’ufficio scolastico della Lombardia che chiede spiegazioni. Resta il fatto che non c’è una linea, né una geografia precisa o un manuale cui attenersi: da una classe all’altra, la festa può essere declinata con differenze anche abissali. E la matematica non c’entra: poco importa se in una classe i bambini stranieri sono uno o 15, il metro della didattica si chiama sensibilità, attenzione per tutti, perché nessuno si senta un’isola. «Noi in certe sezioni arriviamo al 60% di bambini non italiani» spiega Osvaldo Di Cuffa, preside di un istituto comprensivo che si trova in una terra di frontiera, di quelle che trasformano le scuole in laboratori avanzati. Periferia di Firenze, San Donnino, area ad alta densità di fabbriche cinesi, pelletteria e accessori moda: 1600 iscritti, 500 dei quali stranieri, in larga maggioranza cinesi «ma contiamo 26 etnie». «La nostra scuola è intitolata a La Pira, un uomo che ha fatto della pace e del dialogo una missione di vita. Da noi si fanno presepe e albero, ma del Natale sottolineiamo i valori universali di fratellanza e accoglienza».
La “questione Natale” spesso approda sulle colonne dei giornali per le proteste dei genitori, che segnalano la sparizione del presepe: è successo di recente in una scuola materna in provincia di Padova, in un asilo nido di Pietrasanta, nel lucchese, e appunto alla Garofani. Qui il preside ha dato appuntamento ai bambini delle elementari direttamente il 21 gennaio per un Concerto d’Inverno in cui “Tu scendi dalle stelle” sarà soppiantata da canzoni di Sergio Endrigo e filastrocche di Rodari. A Pietrasanta, a scendere in campo è stato il sindaco forzista Massimo Mallegni, che ha ripristinato albero e presepe in tutte le scuole con una lettera alla cooperativa che gestisce il servizio. La motivazione? Non per «una crociata nei confronti di una religione», ma «per tutelare i valori di una comunità: la nostra ». Storie simili si ripetono con quasi monontona regolarità, dalla Toscana al vicentino dove un anno fa fece discutere la decisione di una scuola media di inserire nel concerto di Natale canti di tradizione araba e africana. Forse con meno clamore di oggi perché, con le ferite di Parigi ancora fresche e le immagini dei militanti dell’Isis che invadono i social network, l’affermazione identitaria torna in primo piano anche nell’agenda politica. Non per niente sull’ultimo caso hanno detto la loro da Renzi a Salvini, passando per ministri e presidenti di Regione. «La domanda che ci dobbiamo porre — sostiene Giovanni Biondi, al vertice dell’Indire, l’Istituto di ricerca e innovazione della didattica del Miur — è: celebrare il Natale offende qualcuno? Il carnevale cinese offende qualcuno? Perché il dilemma “Natale sì, Natale no?” a scuola ce lo poniamo solo adesso, quando da decenni nelle aule ci sono bambini ebrei e cinesi?». Izzedin Elzir, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comuità islamiche d’Italia, risponde indirettamente: «Non dobbiamo nascondere le diversità, ma conoscerle per avere un terreno forte su cui costruire il ponte del dialogo. Non credo che un presepe a scuola possa diventare un problema per un bambino musulmano. Il bambino musulmano sa di vivere in un Paese in cui esce per stra- da e trova molte chiese». Renzo Gattegna, presidente dell’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, argomenta che la questione è una sola: «la comprensione delle diversità. La scuola dovrebbe dare spazio e voce alle varie religioni, anche a quelle delle minoranze». Cosa che non sempre accade, «a cominciare dall’ora di religione che non è paritaria per le varie fedi. Si può fare il presepe, ma bisogna contestualizzarlo — aggiunge Gattegna — spiegare cosa rappresenta, come è nato e cosa c’era intorno quando è nato».
Ci sono scuole che non sentono il bisogno di rinunciare a parlare del Natale perché, durante l’anno, ricordano pure le altre feste religiose. Come la Regina Beatrice, istituto comprensivo di Roma, Trastevere: «Lavoro qui da 8 anni — racconta Lucilla Musatti, insegnante della primaria — In genere facciamo l’albero e non il presepe nel senso classico, parliamo di intercultura. Quest’anno, per Natale, organizziamo una mostra coi lavori delle classi, e invitiamo i genitori chiedendo una piccola donazione per un’adozione a distanza o per finanziare progetti di beneficenza. È un messaggio di pace». Un appuntamento che vuole essere spunto per un dialogo, una mano che ne stringe un’altra sconosciuta.
A Milano, un anno fa, il Comune ha varato il progetto “Incontriamo le religioni del mondo”, spiega Ida Morello, preside del comprensivo Scialoja, dove la presenza degli alunni stranieri di prima e seconda alfabetizzazione arriva nelle classi anche al 50%: «Del Natale sottolineiamo la tradizione, senza insistere sulla connotazione religiosa». Alberto Solesin, il padre di Valeria, la giovane uccisa al Bataclan di Parigi, è preside al San Girolamo di Venezia: «Nella mia scuola per Natale non abbiamo mai fatto rappresentazioni di tipo religioso. Certo, ci sono saggi e recite che ci avvicinano alle vacanze del 25 dicembre, ma sempre nel rispetto dei bambini e delle loro famiglie che possono avere fedi differenti. La scuola è laica e gli insegnanti hanno grande rispetto ». Proprio a questi ultimi è affidato il compito cruciale di far crescere gli studenti nel rispetto delle diversità: «Sì — riprende Biondi — ma senza censure, spiegando perché certi luoghi hanno certe radici. La storia d’Europa non si cancella».
Secondo Milena Santerini, docente di Pedagogia alla Cattolica di Milano e deputata del Centro democratico, da anni impegnata nella scuola per i diritti dei bambini e per l’inclusione di quelli di origine straniera, «bisogna fare attenzione a non depurare i simboli religiosi, trasformandoli in una sintesi laica. E allo stesso tempo respingere tutti i fondamentalismi per sottolineare i valori universali che ci legano. Il presepe può essere letto anche come l’accoglienza di un bambino profugo». A proposito di laicità della scuola, Adriano Fabris, docente di Filosofia delle Religioni dice che in Italia si oscilla fra due riferimenti: «quello francese, che elimina dallo spazio pubblico ogni simbolo religioso, e quello nordamericano, convinto invece che lo Stato sia un luogo in cui le diverse culture e tendenze religiose vengono messe a confronto. E si possono manifestare, purché in un quadro di regole che garantisca che ciascuna di queste non sia offensiva per le altre. In Italia si oscilla fra un modello e l’altro perché non c’è mai stato un serio dibattito pubblico sulla questione». E da qui probabilmente bisognerà ripartire.