Repubblica 26.11.15
Jérôme Ferrari.
Il cordoglio via social non basta: dobbiamo fare luce sul perché un’ideologia ripugnante come quella salafita sia diventata un oggetto del desiderio. Senza per questo essere accusati di “giustificare” in qualsiasi modo l’orrore
Non lasciamo che le emozioni ci impediscano di comprendere
di Jérome Ferrari
Forse siamo entrati in guerra, forse siamo entrati nella resistenza, non lo so. Ci sono indubbiamente tanti modi di essere in guerra e di resistere. Le discussioni semantiche sembrano piuttosto inutili. Ma so che Parigi non è Homs, e temo seriamente che continuare a bere l’aperitivo seduti al tavolino di un bar non trasformi nessuno di noi in Jean Moulin. Sarebbe opportuno cominciare finalmente a metterci d’accordo sul senso delle parole. Prima di ascoltare alla radio una ministra sulla quale mi rifiuto di infierire, ignoravo, per esempio, che gli stadi di calcio fossero dei templi della “fraternità”, sui quali si riversano regolarmente, come tutti sanno, degli tsunami d’amore. ”. L’emozione è immensa, è legittima, e spiega che regni evidentemente una certa confusione nella scelta del vocabolario.
Questa emozione non ho alcuna difficoltà a capirla, per quanto mi sia sembrata a volte un po’ ostentata e, per essere sincero, di un’indecenza irreprensibile che non provoca altro che una nausea vaga ma persistente, un disagio paragonabile a quello che proviamo quando, nel corso di una funerale, degli sconosciuti piangono più forte della famiglia del defunto. A me sembra che rispettare il lutto di coloro che hanno perduto dei parenti sia capire che il nostro cordoglio e la nostra empatia, per quanto sinceri, non possono paragonarsi al dolore infinito che li ha colpiti. Ma l’orrore per gli attentati e la natura stessa delle reti sociali su internet non invitano, evidentemente, a contenersi.
È dunque necessario che l’emozione si esprima, anche maldestramente, ma non possiamo ammettere che lo faccia nella forma coercitiva di un’imposizione. Questa imposizione, infatti, condanna in anticipo come complice o criminale qualsiasi sforzo di esercitare la propria capacità di giudizio. Assistiamo, come già accadde a gennaio, a un capovolgimento aberrante della massima spinoziana: ci sarebbe concesso di ridere, deplorare e maledire, ma mai di capire. Perché “capire”, certo, è “scusare” — ed è vergognoso, in un paese che ha una così alta opinione della propria statura intellettuale, dover scrivere che questa equivalenza è di un’insondabile stupidità. Ma il nostro amore per la dicotomia è smoderato. Ci fermeremo dunque alla denuncia unanime della “barbarie”. Effettivamente è molto semplice, ed è più comodo. Questo ci eviterà di interrogarci su una società che vuole riconoscersi in un testo che si dice pubblicato dal New York Times che riporta i più grotteschi luoghi comuni sulla Francia — e qui si vede che l’emozione non impedisce che si tragga da una tragedia un vantaggio narcisistico. Chi oserebbe criticare questa società così festosa, così sottilmente trasgressiva, da suscitare, proprio a motivo della sua perfezione, l’ira dei cattivi?
Questo ci eviterà di constatare che i cosiddetti cattivi ne sono in gran maggioranza il prodotto, e ci risparmierà dal porre questa domanda terribile: che cosa accade in Francia perché un’ideologia ripugnante come il salafismo divenga un oggetto del desiderio? — e cercare di capirlo, ho di nuovo vergogna di doverlo scrivere, non è scusare nessun criminale, né impedisce che si faccia di tutto per punirli. Questo ci eviterà di chiederci se la stigmatizzazione cieca e collettiva di una parte dei nostri concittadini non sia il modo più sicuro di incoraggiare la radicalizzazione — cosa che ben sanno i “barbari”, i quali, da parte loro, non fanno lo sbaglio di non cercare di capire il proprio nemico. Questo ci eviterà di inorridire nel sentire una giornalista di France Inter chiedere con grande naturalezza a un parlamentare se l’ignobile proposta di Wauquiez di aprire una Guantanamo alla francese non sia, dopotutto, un’idea così cattiva. Questo ci eviterà, infine, di chiederci se ciò che ora rischiamo di perdere, all’inaudita velocità che caratterizza sempre le catastrofi — ciò che abbiamo già, temo, cominciato a perdere — non sia più fondamentale dello champagne, dell’odore del pane caldo e delle scappatelle in un albergo parigino.
© Jérôme Ferrari, Le Monde des Livres, 2015 Traduzione di Luis E. Moriones L’autore è uno scrittore francese. I suoi ultimi libri sono pubblicati in Italia da e/ o