martedì 24 novembre 2015

Repubblica 24.11.15
Amico parigino torniamo a vederci al solito bistrot
Il fondamentalismo non avrà fine. Ma non può trionfare Nelle settimane immediatamente successive all’11 settembre chi avrebbe immaginato che l’area attorno a Ground Zero sarebbe rifiorita?
di Adam Gopnik


Caro P, la tua lettera mi ha fatto un immenso piacere, nella sua intensità e ricchezza di dettagli è stata per me una conferma delle idee che mi son fatto su come si debba vivere a Parigi a una settimana dagli attentati. Mi scrivi «all’improvviso ci ha assalito una grande amarezza. Cerchiamo di andare avanti con la vita di sempre, ma è difficile. La gente fa le sue cose ma le coeur n’y est pas». Venendo poi alle notizie incoraggianti racconti che «la gioventù parigina, geniale come sempre, ha inventato il logo, “ Tous au bistro”, per dire usciamo ancora, fumiamo ancora, chiacchieriamo ancora, viviamo ancora la vie à la française». Mi hai fatto anche un po’ sorridere, sai. Da noi a New York il fumo rimase tabù, anche quando eravamo stretti nella morsa del terrore. Quello non si poteva fare, neppure per indispettire un fanatico.
Alle tue parole miste di dolore ed edonismo ribelle fanno eco quelle di tanti altri amici parigini. Mi incuriosisce, pur non sorprendendomi del tutto, sentir dire che gli attentati sono un regalo politico a François Hollande. «Hollande sta facendo bene il suo ruolo di presidente, la tragedia gli attribuisce una credibilità che prima non aveva», mi scrivi. «Un evento di questa portata scombussola tutto – se andassimo a votare domani secondo me vincerebbe lui». È strano, vero, che in momenti del genere si faccia riferimento all’autorità in carica, di destra o di sinistra che sia, anche se in qualche modo non ha assolto al suo compito. Poi però aggiungi «Il maestro di cerimonia in queste sanguinose circostanze è il tempo. E chissà cosa ha in serbo il tempo per noi tutti, politici compresi. Non che ci interessi poi molto, a dire la verità. A monopolizzare pensieri e conversazioni è la jeunesse, una gioventù decimata da un altro genere di gioventù. I killer infatti avevano la stessa età delle vittime». Sono tutte reazioni che conosco – l’appello all’autorità, l’insofferenza nei confronti della politica normale, l’incredulità di fronte all’accaduto. Eppure non riesco a non pensare alla rapidità con cui la memoria collettiva sembra cancellata da un’amnesia selettiva – come se la lunga, dolorosa, catena di attacchi terroristici ai danni delle società aperte e le esperienze accumulate vengano semplicemente messe da parte ogni volta che l’occasione si ripresenta. Scrivi anche che «avendo vissuto la Guerra d’Algeria e altri orrori» sei meno scosso rispetto ai tuoi figli. Mi chiedo se questa saggia imperturbabilità non vada rispolverata in questa occasione. Molti francesi che stimiamo e ammiriamo danno voce al nuovo partito della guerra. In parte quanto meno è ancora il partito pro rifugiati, che si sforza di non venir meno alla onorevole tradizione francese di offrire asilo ai profughi. Tu e loro, giustamente, siete refrattari ai tentativi di storicizzare l’orrore, non sopportate il cosiddetto angelisme, il buonismo fuori dalla realtà che porta a cercare spiegazioni al male diverse da quelle palesi. Alla vista dei video dei killer che attaccano persone indifese in un caffè è impossibile accettare certe elucubrazioni. Capisco il motivo per cui non ne possiate più di ascoltare apologie e apologeti, e perché tu e molti dei nostri comuni amici ribadiate che non si deve sottovalutare il fanatismo religioso alla base dell’ideologia, né far finta che non esista. Hai ragione.
Però l’idea di poter sventare una minaccia terroristica attraverso l’intervento militare non è forse contraria a ogni raziocinio ed esperienza? Gli attentati di Parigi non sono stati attacchi esterni, lo dici tu stesso, ma attacchi interni, e l’interno resta lì. Dall’America non lesinano certo a voi francesi colte lezioni sulle cause del terrorismo, da ricercarsi nella situazione delle banlieue o nell’isolamento dei musulmani– anche se i figli degli immigrati si sono radicalizzati pure a Cambridge, prospera città del Massachusetts, come dimostrano i fratelli Tsarnaev che hanno creato altrettanto panico a Boston, pur facendo meno morti.
La volontà di sconfiggere l’Is è un ottimo proposito in termini strategici. Ma certo va tenuto a mente un concetto importantissimo, ossia che il nichilismo terrorista è un prodotto inevitabile e ricorrente della modernità. Nello spazio di una vita come la tua, l’Europa ha visto l’Organisation de l’armée secrète in Francia, il terrorismo algerino, la banda Baader-Meinhof, le Brigate rosse, e ora l’Is. L’Is sconfitta può lasciare un residuo ancora peggiore. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento il terrorismo era terribile in Europa – ma chi parla più ormai delle bombe dell’Ira nei grandi magazzini londinesi? Il terrorismo è un leitmotiv della modernità.
Ma la nostra amnesia a riguardo può dimostrare, in maniera intelligente e sovversiva, che il terrorismo in fin dei conti è impotente: dimentichiamo perché in realtà non conviviamo ogni giorno con la paura, anche se “dovremmo”. L’amnesia avviene perché, a suo modo, per strano che sia, è la verità. La tolleranza e il pluralismo delle società liberali si prestano ad abusi e ad attacchi, ma non per questo la tolleranza è sbagliata o il pluralismo destinato all’insuccesso. Parigi, Londra e New York sono sede di azioni terroristiche perché rappresentano in forma irritante il potere del pluralismo. I jihadisti cercano l’esplosione per attirare l’attenzione, se no nessuno baderebbe a loro.
La verità di fondo del terrorismo è che continua a esistere e a spaventare, ma fortunatamente è un fenomeno raro. Nelle settimane dopo l’undici settembre, chi qui a New York mai avrebbe immaginato che nei quindici anni successivi Manhattan, e in particolare l’area attorno a Ground Zero, avrebbero vissuto una prosperità senza precedenti? Da allora in questa città non è mai più stato realizzato un solo attentato di massa; ovviamente le cose possono cambiare da qui a un’ora, o domani, non esistono infatti garanzie di “sicurezza”. Scegliamo di immaginare che se “sconfiggiamo” il terrorismo all’estero possiamo porvi fine. Ma la verità storica non è un’altra? Il terrorismo non avrà fine. Ma non può trionfare. Non è forse questa in realtà la duplice verità, ben più ardua, con cui dobbiamo convivere? Non sai quanto spero di vederti presto in uno dei nostri soliti posti. Tous au bistro, sul serio, assieme agli amici, comunque la pensino.
© New Yorker, 2015 Traduzione di Emilia Benghi