Repubblica 21.11.15
Mata Hari, principessa e spia
Ma soprattutto un’invenzione
di Elena Stancanelli
Nel libro di Giuseppe Scaraffia gli ultimi giorni della celebre seduttrice, simbolo e capro espiatorio della Belle Epoque
Margaretha Geertruida Zelle era nata nel 1876 in Olanda. Oppure in India, da una famiglia della casta sacra dei bramini. Era figlia di una bajadera morta a quattordici anni nel partorirla, o anche bisnipote del reggente di Madura. Principessa, sacerdotessa, puttana... Qualunque cosa fosse stata in vita, quando morì, fucilata all’alba del 15 ottobre 1917 a Parigi, era ormai per tutti Mata Hari. “Occhio dell’alba”, sole, nella lingua che aveva imparato a Giava.
Mata Hari aveva capelli neri e lunghi, occhi grandi e il seno piccolo. Danzava in modo seducente e si esibiva nei salotti. Dove poteva eludere il giudizio degli esperti e creare quella intimità, quella prossimità nella quale sapeva esprimersi alla perfezione. Femme fatale, ballerina di scarso talento, e infine spia. Un po’ per soldi un po’ per avventura, Mata Hari iniziò a fare il doppio gioco tra i servizi segreti francesi e quelli tedeschi. Probabilmente. Ma se la sua condanna fu opinabile, di certo la sua morte volle essere esemplare. «Il suo processo diventò il palcoscenico su cui il nuovo secolo giudicava e giustiziava la Belle Époque», scrive Giuseppe Scaraffia, scrittore e francesista, ne Gli ultimi giorni di Mata Hari” (Utet). Colto e divertente, il libro è costruito intorno a un’intuizione: Mata Hari è un impostore, un sogno, una bugia e non sarebbe mai esistita senza il pubblico specialissimo che la inventò. Intorno a lei, nella Parigi di inizio secolo, pascolano e si pasciono infatti intellettuali e visionari, stupefacenti mentitori e vendidori di leggende. Che importa se Ernest Hemingway arrivò a Parigi solo due anni più tardi la fuciliazione di Mata Hari? «Una notte me la sono scopata ben due volte, anche se francamente trovavo che avesse la vita larga e aveva più voglia di farsi fare delle cose che di dare quel che si può dare a un uomo». Anzi meglio: tanti particolari si sanno solo di qualcuno che non si è mai conosciuto.
E Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti la incontrarono davvero? O semplicemente avrebbero potuto, cosa che renderebbe perfetto il loro incontro. E tutte quelle magnifiche donne, Colette, Virginia Wolf, la marchesa Luisa Casati, Misia Sert, Natalie Clifford Barney, Isadora Duncan. Ognuna di loro, come i colleghi maschi, al guinzaglio del proprio talento e dei propri desideri. I più specializzati, e anche un po’ disgustosi, sono senz’altro quelli di Marcel Proust, che frequentava un bordello gay e si eccitava guardando due... Non ve lo dico. Leggetelo.
Biografie e bibliografie precise e fascinose, brevi racconti con uomini straordinari rincorsi dal rancore della Storia. D.H. Lawrence e sua moglie Frieda in fuga dalla Cornovaglia, Lawrence d’Arabia e quel suo strano incidente in motocicletta... Mata Hari ebbe moltissimi uomini, qualche donna e un solo amore. E con quanta meravigliosa crudeltà il raffinato Scaraffia, nelle note finali, spiega che quello, il capitano Klingham, l’uomo che non l’aveva tradita neanche al processo, è l’unico personaggio inventato.
IL LIBRO Gli ultimi giorni di Mata Hari di Giuseppe Scaraffia ( Utet, pagg. 172, euro 11,90)