Repubblica 11.8.15
Lavoro forzato, prostituzione, matrimoni precoci, ragazzini soldato: 21 milioni di persone nel mondo sono prive di libertà. Il punto venerdì 13 a Milano alla conferenza di Science for Peace della Fondazione Veronesi
Schiavitù Emergenza mondiale
di Laura Montanari
Prede facili e deboli, corpi che diventano oggetti da sfruttare: nel sesso, nel lavoro, in guerra, in qualche altro interesse privato. Nelle pagine dei dizionari si legge che “la schiavitù è la condizione dell’individuo considerato giuridicamente proprietà di un altro individuo e quindi privo di ogni umano diritto”. Ma la gabbia di questa definizione non aiuta a comprendere i confini estesi che il fenomeno ha assunto nel mondo contemporaneo. «Siamo partiti dalle parole del Papa, è stato proprio Bergoglio a suggerire questo tema a monsignor Marcelo Sanchez Sorondo che è argentino e membro del Comitato Etico della Fondazione Veronesi». Il professor Umberto Veronesi, uno dei più celebri nomi della scienza italiana, racconta il retroscena che ha condotto la Fondazione che porta il suo nome a organizzare la settima conferenza internazionale di Science for Peace con il titolo: “Traffico di essere umani e schiavitù moderne”.
Science for Peace è il progetto nato nel 2009 con due obiettivi: diffondere una cultura di non violenza e ridurre le spese di ordigni nucleari e armamenti a favore di maggiori investimenti nella ricerca. «Sorondo ha spiegato a Papa Francesco - si conoscono da tempo e sono amici - che ogni anno organizziamo una conferenza per la pace», riprende Veronesi, «e allora lui ha detto che l’argomento più urgente oggi è la schiavitù moderna». Una schiavitù senza una geografia precisa perché si insinua ovunque vi siano disuguaglianze: la materia prima che la alimenta è la povertà, economica, psicologica o culturale. L’International Labour Organization calcola che vi siano nel mondo circa 21 milioni di persone private della libertà, dei diritti e della dignità, fra loro 5 milioni sono bambini, il giro d’affari è stimato sui 150 miliardi di dollari. «Temo che i numeri possano essere più elevati, in ogni caso è un fenomeno che ci offende come esseri umani. Abbiamo il dovere ogni volta di indignarci, ma anche di muoverci verso soluzioni concrete e la scienza offre gli strumenti e i linguaggi giusti». Nell’aula magna della Bocconi di Milano la Fondazione ha chiamato il 13 novembre esperti di politica estera, di cooperazione, responsabili Unesco per l’uguaglianza di genere, esponenti di associazioni impegnate per i diritti umani e due Nobel: l’iraniana Shirin Ebadi e la yemenita Tawakkul Karman.
Avete invitato l’ex ministro Emma Bonino e due donne Nobel per la Pace. La questione femminile è centrale?
«Parleremo molto di donne e di spose bambine, delle famiglie che le vendono per denaro, e anche delle ragazzine appena più grandi destinate alla prostituzione coatta, un’altra forma di schiavitù orrenda. Ma allargheremo il discorso ad altre forme di sfruttamento, dai bambini soldato alle violenze dentro casa».
La schiavitù è illegale eppure prolifera. Come combatterla?
«Con la solidarietà fra le persone e con l’istruzione. La pace è il valore universale più importante che abbiamo, senza pace anche tutti gli altri valori si disperdono».
In Europa stanno arrivando decine di migliaia di profughi...
«Sono persone in fuga dalle guerre e dalle povertà. È successo altre volte nella storia, basta pensare al passato, a Gengis Khan, tanto per fare un esempio: quando un esercito arriva in un Paese, la gente cerca salvezza scappando».
Anche contro i migranti ci sono forme di schiavismo.
«Sì, appena sbarcati in Europa c’è chi li sfrutta magari per lavorare in nero nei campi a raccogliere i pomodori».
Abbiamo letto di inchieste e processi su forme di sfruttamento nelle fabbriche in diverse parti del mondo e anche nelle chinatown d’Italia. Come possiamo intervenire?
«Come consumatori, facendo attenzione quando acquistiamo le cose, compresi i vestiti. Lo sfruttamento nelle fabbriche è antico, ne parlava già Marx. Poi c’è stato un attenuarsi del fenomeno, che invece la globalizzazione ha riportato in primo piano. Abbiamo scoperto che certi prodotti finiti sui nostri mercati venivano fatti da bambini di 8 o 9 anni in zone desolate del mondo, magari pagati mezzo dollaro al giorno».
Lei ha detto che l’istruzione è un’arma per combattere le schiavitù moderne: che cosa state facendo in concreto?
«Operiamo per diffondere la conoscenza, abbiamo un centro di prevenzione contro il tumore al seno in Afghanistan, abbiamo operato nella Repubblica del Congo per avviare un programma di screening per il tumore all’utero, e in Madagascar. Se tutti i Paesi si impegnassero su questa strada sarebbe facile fare dei passi avanti. Vogliamo aumentare l’esercito dei pacifisti e portare una maggiore diffusione della scienza perché siamo consapevoli che il sapere è la strada per far progredire il pianeta».