La Stampa TuttoScienze 18.11.15
Nei buchi neri il maxi-laboratorio per tentare
di conciliare Relatività e meccanica quantistica
di Marco Pivato
Solo se potessimo sorvolare un buco nero e, magari, entrarci avremmo modo di venire a capo dell’incognita per eccellenza della fisica: come far convivere la Relatività e la meccanica quantistica. I concetti non sono semplici, ma per raccontare questa storia ci aiuta Antonio Masiero, docente di fisica astroparticellare all’Università di Padova e vicepresidente dell’Infn, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Pochi mesi dopo il lavoro di Einstein sulla Relatività, l’astronomo Karl Schwarzschild risolve le equazioni di campo, meravigliando lo stesso fisico tedesco. Conseguenza ed eredità del contributo di Schwarzschild - che muore nel 1916 - è l’intuizione che avrebbe portato alla teorizzazione dei buchi neri, «pozzi» nel tessuto dello spaziotempo - così come teorizzato da Einstein - tanto profondi da inghiottire la materia: «Dapprima - dice Masiero - erano speculazioni e ancora oggi abbiamo solo possibili evidenze indirette della loro esistenza, derivanti dalla cattura di oggetti celesti nel loro fortissimo campo gravitazionale».
Einstein aveva seminato una teoria i cui imprevedibili frutti sarebbero stati colti lungo tutto il corso della sua vita e ancora oggi. Eppure, fino agli Anni 60, verso i buchi neri prevale lo scetticismo. «Spesso in fisica - spiega Masiero - i calcoli portano a conclusioni che, per quanto inattaccabili, rimangono sulla carta. Sono cioè soluzioni matematiche a cui non si sa se corrisponda una realtà fisica, fino a che non si arriva al riscontro empirico».
Sempre nella seconda parte del XX secolo Roger Penrose dimostra che i buchi neri - termine coniato da John Wheeler - sono una conseguenza del crollo di corpi celesti troppo densi. Ancora teorie, fino a che nel 1970 gli astronomi osservano un oggetto compatto nella costellazione del Cigno che emette getti di raggi X, fenomeno coerente con le equazioni della Relatività e probabilmente dovuto alla caduta della materia (per esempio una stella) attratta verso il buco. A tutt’oggi si ritiene che la maggior parte delle galassie contengano buchi neri, compresa la nostra. La loro esistenza confermerebbe allora la composizione dello spaziotempo einsteiniano.
«La Relatività - precisa Masiero - descrive uno spazio continuo e deformabile, adatto a formare “stirature” estreme in corrispondenza di oggetti massicci che esercitano un’enorme forza di gravità, per l’appunto i buchi neri». C’è, però, un problema: se la Relatività è giusta, allora le grandezze, in natura, non dovrebbero essere «quantizzate», ovvero non assumerebbero solo valori intermedi (come l’altezza della soglia dei piani di tanti scalini), ma tutti quelli possibili (come l’altezza lungo la salita di una rampa). Ne era del resto convinto Einstein, sicuro che la quantomeccanica fosse una suggestione in attesa di ritrovare un’oggettività più profonda alla natura.
«A tutt’oggi però - continua Masiero - tanti teorici si pongono il problema di come lo spazio di Einstein possa conciliarsi con la visione quantistica dell’Universo e quindi di come la gravità possa essere in qualche modo quantizzata, come lo sono le altre forze fondamentali: la forza elettromagnetica, quella nucleare forte, che tiene insieme i nuclei atomici, e la nucleare debole, responsabile della radioattività». Stringhe, dimensioni nascoste, universi multipli: le teorie si sprecano per mettere d’accordo Einstein con Planck, Bohr, Heisenberg e i pionieri della quantomeccanica.
«I buchi neri, in effetti, costituiscono dei “laboratori” per arrivare a una soluzione». E spiega: «Stephen Hawking ha mostrato come un buco nero possa non essere necessariamente una galleria a senso unico, ma l’emettitore di una radiazione. Il buco riduce la sua massa nel tempo, diffondendo fotoni e altre particelle. Questa “radiazione” è un effetto quantistico, ma esisterà realmente?».
Se così fosse, le due più grandi teorie del Novecento troverebbero un’unità, ma, non potendo per ora atterrare su un buco nero, non sappiamo se Hawking abbia ragione. Per ora solo il cinema ha avuto questo privilegio: in «Interstellar» il percorso a ritroso è consentito. Con una differenza: per Hawking è possibile per le radiazioni. Non per le astronavi.