mercoledì 25 novembre 2015

La Stampa 25.11.15
L’economia americana accelera
Il Pil cresce del 2,1% rispetto all’1,5 previsto. E l’aumento dei tassi Fed si fa più vicino
di Francesco Semprini


L’economia americana difende con vigore la propria ripresa al cospetto del calo della domanda aggregata globale e delle tensioni geopolitiche e di sicurezza internazionale, tanto da rendere sempre più concreta l’opzione di un rialzo dei tassi d’interesse prima della fine dell’anno.
Mentre il mondo è alle prese con le deprimenti notizie - anche per i mercati finanziari, che in Europa chiudono in rosso - provenienti dalla lotta al terrorismo, a ridare fiato agli operatori americani è il dipartimento al Commercio, che per il terzo trimestre dell’anno rivela una revisione del Pil Usa a +2,1 per cento. Il dato è in linea con le attese degli analisti, ma comunque superiore all’incremento dell’1,5% della prima lettura. A spingere l’economia sono i consumi, cresciuti del 3%, dato leggermente rivisto al ribasso rispetto al +3,2% della prima stima, ma sufficiente a garantire una certa spinta all’economia Usa, che per oltre i due terzi si basa proprio sui consumi. Il rimbalzo del Pil arriva nonostante il calo dei profitti aziendali - ed è questo il dato in assoluta controtendenza rispetto agli ultimi sei anni di crescita barometrica. Le aziende hanno realizzato l’1,1% in meno in termini di utili da luglio a settembre, e la contrazione è stata del 4,7% su scala annuale, la peggiore lettura dall’ultimo periodo recessivo. A deprimere i profitti è l’apprezzamento del dollaro sulle altre valute, che ha causato un aumento dei costi aziendali per le imprese Usa che operano all’estero, ma anche la contrazione della domanda aggregata mondiale. E’ la stessa Casa Bianca a sottolinearlo quando afferma che «il rallentamento della domanda estera continua a pesare sulla crescita e mette in evidenza la necessità di politiche che promuovano la crescita e non di un’austerity non necessaria». Ed è per questo che la crescita delle esportazioni resta sotto il livello osservato in precedenza.
Il Pil Usa negli ultimi quattro trimestri è cresciuto del 2,2%, e gli analisti prevedono che il aumenterà quest’anno del 2,5% contro il +2,4% dell’anno scorso. Il quadro descritto conferma quindi che l’economia americana si trova in fase di progressivo rafforzamento, e ne è convinta anche Wall Street che riesce ribaltare i passivi dei future e chiudere all’insegna della parità. Questo potrebbe certificare la decisione di un rialzo del costo del denaro, il primo dal 2006, già nella riunione della Federal Reserve del 15 e 16 dicembre, dopo oltre sette anni in cui i tassi sono rimasti praticamente schiacciati allo zero.
«Posto che si continuino a raccogliere dati positivi per l’economia, e che ci si avvicini a raggiungere i nostri obbiettivi», ci può essere una forte probabilità di un rialzo a dicembre, spiega il governatore della Fed di San Francisco, John Williams. Certo ci sono indicatori che hanno bisogno di ulteriore stabilizzazione, come la fiducia dei consumatori americani calata a novembre a 90,4 punti, il livello più basso da settembre 2014. Inoltre un aumento del costo del denaro potrebbe pesare proprio sulla Corporate America. Fattori in realtà gestibili, al cospetto della «variabile esterna» che continua ad essere la più critica anche per gli Usa. Specie dopo gli ultimi sviluppi sul piano geopolitico visto che c’è chi come Steve Hanke, superconsigliere economico di Reagan, avverte il rischio di un forte «effetto Parigi» sulle economie europee, con un ulteriore indebolimento su scala continentale e non solo.